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Si apre la caccia grossa ai big berlusconiani tirati in ballo per nulla

Nell'inchiesta di Venezia spuntano tutti i fedelissimi dell'ex premier, da Letta a Brunetta a Ghedini. Non indagati ma subito infangati

Si apre la caccia grossa ai big berlusconiani tirati in ballo per nulla

A poco a poco «spuntano» tutti quanti. Mancava Gianni Letta, nome che spunta in tutte le inchieste dell'ex stagione berlusconiana, ma è spuntato anche lui negli interrogatori sul «sistema Mose», dopo gli ex ministri Matteoli e Tremonti (oltre a Lunardi), all'attuale capogruppo Fi alla Camera Renato Brunetta, all'avvocato di Berlusconi Niccolò Ghedini, e ovviamente al berlusconiano Galan. Insomma si arriva al cerchio dei fedelissimi attorno a Berlusconi, che di rimbalzo spunta anche lui nelle chiacchiere telefoniche della cricca lagunare. «Cercavano di manovrare anche il premier Berlusconi» titola il Gazzettino riportando pezzi di intercettazioni tra Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova al centro dello scandalo, e un avvocato: «Oggi vedo il Dottore (Letta, ndr). Ci vuole un atto di imperio di... di Berlusconi», per sbloccare una nomina. Più volte la rete del Consorzio cerca di arrivare a Palazzo Chigi, e a Berlusconi, puntando su Gianni Letta, allora sottosegretario e braccio destro del premier su tutti i dossier più importanti (tutto passava da Letta, sorta di premier ombra dall'incredibile capacità di lavoro). Anche per il Mose, opera strategica in cui è coinvolto per conto del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

L'ex capo del consorzio realizzatore del Mose, Mazzacurati, uno dei testimoni chiave, riferisce che Letta (non indagato) è stato «per i nostri progetti un riferimento importante», e che «alcune volte mi ha portato da Berlusconi perché voleva sapere a che punto eravamo» con i lavori per il Mose, opera su cui il governo ci stava mettendo la faccia. Aggiunge Mazzacurati, sempre nello stesso interrogatorio: «Il dottor Letta in questi anni non ha mai chiesto nulla». Un altro degli imprenditori arrestato Piergiorgio Baita, ex capo della Mantovani, ai pm parla di Letta come dell'«assicurazione della vita» e riferisce, in modo alquanto vago, di una «voce che circolava» su interessi diretti di Letta. Quanto basta per buttare l'ex sottosegretario nei titoli sull'inchiesta Mose: «Spunta anche Letta». E per far rispondere Letta (che tramite l'avvocato Coppi annuncia querele): «Non è la prima volta che il mio nome viene evocato o citato in una delle tante inchieste che riempiono le cronache di questi mesi - scrive Letta in una nota -. Ed è ovvio che lo sia perché negli anni di governo mi sono occupato di tante vicende, certo di tutte le più importanti, ma solo per dovere di ufficio e per le responsabilità connesse alla funzione ed al ruolo. Ci vuole molta fantasia per trasformare un normale e doveroso contatto istituzionale in una richiesta o, peggio, in un versamento, e inventare così una favola. Non esistono né richieste né versamenti. Non sono mai esistiti, mai pensati e neppure immaginati. Per fortuna non sono io a doverlo dire, dal momento che prima di me, l'ha scritto con chiarezza il gip di Venezia. Peccato che qualche giornale non sia arrivato al capolinea dell'ordinanza».

Nella mischia è finito anche Tremonti (non indagato), tirato in ballo dal suo ex consigliere Marco Milanese, e poi anche Ghedini (non indagato). Sempre Baita, nei verbali, mette in relazione Ghedini e una società di William Colombelli per una serie di presunti affari. Che Ghedini smentisce in toto annunciando azioni legali: «Notizie inventate, nei suoi verbali Baita non ha mai prospettato che direttamente o indirettamente mi sia stato fatto pervenire del denaro. Colombelli? Solo una comune passione per i motori» (anche Colombelli smentisce tutto). Altro berlusconiano tirato dentro è Renato Brunetta. Si parla di un finanziamento alla campagna elettorale del 2010, «50mila euro da Adria Infrastrutture» spiega Baita in un interrogatorio, perché «il Consorzio puntava su Orsoni e Brunetta era molto risentito». Risponde Brunetta (anche lui annunciando querele) che «a sostegno della mia campagna elettorale per le comunali veneziane è stato deliberato un contributo elettorale regolarmente contabilizzato e dichiarato secondo la legge, e nient'altro». Più articolate le posizioni di Galan e Matteoli, entrambi sotto indagine. L'ex ministro delle Infrastrutture smentisce le dichiarazioni «assolutamente false» degli arrestati: «Non ho nulla da nascondere, mai percepito denaro o utilità, la mia fedina penale è candida come lo è sempre stata in 50 anni di attività politica».

La caccia continua.

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