Si dimettono i parlamentari: Forza Italia ha aperto la crisi

RomaSaranno dimissioni di massa. Il plotone d'esecuzione è pronto a sparare al leader del centrodestra? Il Pdl, a sua volta, è pronto sparare la sua di cartuccia: sarà ammutinamento. Tutti riuniti a tarda sera i pidiellini, nella sala della Regina di Montecitorio. Una giornata sull'ottovolante dove a tratti sembrano imminenti, già in giornata, le dimissioni di tutti i parlamentari azzurri con inevitabili conseguenze sulla tenuta del governo. No, non subito. Ma la riunione dei parlamentari azzurri ha una sola voce: sarà battaglia. Un segnale forte e chiaro spedito a Pd e Napolitano.
Si inizia con il capogruppo al Senato, Renato Schifani. Il suo intervento è grave e teso. Si rivolge ai colleghi di Camera e Senato: «Ogni parlamentare ha diritto di difendersi - è il suo esordio - Al Senato non c'è ascolto su questa questione così come nella politica italiana. In Senato si sta consumando un fatto grave. Al senatore Berlusconi non è stato consentito di difendersi. È una pagina buia della politica italiana. C'è la volontà da parte di alcuni partiti di cancellare Berlusconi che è la storia di questo Paese». Quindi, rivolto ai colleghi: «Interrogatevi, aprite una riflessione, ognuno per la propria storia, se sentite o meno il bisogno di offrire la prosecuzione della vostra vita politica nel momento in cui, il 4 ottobre, a Berlusconi sarà ancora un'altra volta negato il diritto alla verità e alla giustizia». Applausi scroscianti. Nessuno se la sente di ingoiare l'ingiustizia di un voto in giunta con cui Berlusconi verrà buttato fuori dal Parlamento. Poi tocca al capogruppo pidiellino alla Camera, Renato Brunetta. Stessa musica: «È importante fare una valutazione etica, oltre che politica - dice - Come rispondere a quello che accadrà il 4 ottobre? Occorre rispondere nel silenzio della propria coscienza e liberamente su che tipo di risposta dare. Io me la sono data...», dice Brunetta che ha già fatto sapere più volte come la pensa sulla questione. Parla di «ferita insanabile». Insomma, non si potrà rimanere un minuto di più assieme a chi ti accoltella nella schiena.
Il Cavaliere arriva verso le 20, a riunione già iniziata. L'ingresso è salutato da un altro lungo e toccante battimani. Standing ovation. Tutti in piedi a salutare il leader. Berlusconi pare commosso e lo ammette: «Se volete commuovermi, ci state riuscendo», dice. E Schifani gli risponde: «Volevamo decidere prima che arrivasse, presidente». La domanda sul «che fare?» ha una risposta corale con un altro applauso senza eccezioni. Acclamazione. Tutti consegneranno le dimissioni nelle mani del proprio capogruppo e quindi dei rispettivi presidenti, Grasso e Boldrini, se la giunta tirerà il grilletto contro Berlusconi. Tutti, nessuno escluso, a dispetto di falchi e colombe, a prescindere dall'essere «ministeriali» o «filostrappo». A suggellare l'unione del partito, ci pensa il segretario Angelino Alfano, l'unico altro big che prende la parola davanti all'assemblea: «Il punto di sostanza è uno: siamo un partito che non ha intenzione e che non farà l'errore dei partiti della Prima Repubblica, perché questo partito non si dividerà, è unito e resterà tale. Perché è stretto intorno al suo leader, al quale è legato dall'affetto, dalla stima e dalla forza degli ideali comuni». Non ci sono eccezioni.
Non solo. Di fronte all'eventuale cacciata di Berlusconi dal Parlamento, arrivano di sguincio notizie sul fronte del Carroccio, storico alleato del Pdl.

Pare che a seguito di contatti tra azzurri e leghisti, anche questi ultimi sarebbero disponibili a dimettersi qualora da palazzo Madama arrivasse la batosta per il Cavaliere. In odio al governo Letta, ormai sempre più scricchiolante.

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