Il siluro (sobrio) di Monti: "La riforma ora non si tocca"

Il premier: "Solo il Parlamento deciderà se approvarla in blocco o modificarla". Stilettata alla Cgil: "I sindacati sono importanti, ma devono stare al loro posto". Poi punge Maroni, ma lo voleva ministro

Il siluro (sobrio) di Monti:  "La riforma ora non si tocca"

dal nostro inviato a Cernobbio

Blindato. Il testo della riforma del lavoro, articolo 18 compreso, non si tocca. Il Professore non fa sconti e promette di non farne in futuro.Sia pure un po’ affaticato e, a tratti, alla ricerca del filo del di­scorso, il presidente del Consiglio mette bene in chiaro le cose e, so­prattutto, mette tutti al loro posto, sindacati compresi. Riconosce im­plicitamente il non felice parto di quella formula, «salvo intese», scelta per accompagnare il provve­dimento del suo governo tecnico, ma si affretta anche a precisare che «questa strana formula non è uscita per assonanza con Salva Ita­lia, significa soltanto salvo intese fra i membri del governo e il capo dello Stato. Il testo, quindi, non è suscettibile di incursioni e nessu­no si illuda che questa definizione significhi che forze importanti ma esterne al governo, che peraltro abbiamo già consultato, possano intervenire per cambiare i conte­nuti ».

«Poi- ha aggiunto Monti, giusto per ricordare l’iter procedurale del provvedimento - sarà il Parla­mento a decidere se farlo cadere, approvarlo in blocco o modificar­lo, come è probabile, ma va detto, tanto per essere chiari, che ora è in corso solo un processo di affina­mento di un testo complesso, ma non aperto ad altri contributi ester­ni. Perché - gentile bordata a miss Cgil, Susanna Camusso, con cui aveva poco prima pranzato tra sor­risi e cin cin - a giudizio mio e del mio governo le parti sociali non più provviste di cedolino con dirit­to di veto, sono più autorevoli di prima, sono importanti, sono cor­p­i intermedi che svolgono una fun­zione essenziale, ma al loro po­sto ». Che è quel «state al vostro po­sto » che gli alunni sono abituati a sentire, appunto, dai professori.

Poi alcune considerazioni sul passato prossimo di quest’Italia che ha «ereditato»: «Credo che io sia stato chiamato per rimediare ai mali derivati nel corso di decen­n­i da molte occasioni di ascolto co­me questa. Occasioni nelle quali chi governava è stato reso talmen­t­e sensibile ai problemi delle diver­se categorie ed ha tanto cercato di venire incontro a quei problemi per avere poi un consenso che ha finito per prendere decisioni che non hanno poi tenuto presente l’interesse generale. Io non sono stato chiamato per cercare il con­senso. Se si fosse cominciato pri­ma, più di un anno e mezzo fa, se si fosse riconosciuto che l’Italia ave­va una urgenza rispetto al resto dell’Europa e che c’erano alcune criticità e che non bastava cullarsi nella convinzione, in parte esatta, che il sistema bancario era più soli­do, non sarebbe ancora più diffici­l­e mettere l’Italia sul sentiero della crescita e ridurre le tasse».

E, d’ora in poi, che cosa acca­drà? «Non illudiamoci e non cre­detegli se qualcuno vi propone ri­cette, il recupero e il ritorno alla crescita dell’Italia non possono av­venire in un periodo breve », ha te­nuto a precisare il premier. E, an­cora una volta per evitare equivo­ci, ha aggiunto: «Non è richiesto, credetemi, un prolungamento di una situazione politica atipica ma teniamo basse le aspettative, il Pa­ese non è in una situazione in cui si possano fare promesse». Silenzio, rumorosissimo silenzio, che av­volge in una cappa le sue parole ma il Professore gioca in contro­piede: «Sono sicuro che questo si­l­enzio significhi un grande applau­so ». Così la platea batte, anzi, bat­ticchia le mani.

«Non prometto a nessuno una crescita nel 2012, ma sono sicuro che avremo meno recessione o più leggera crescita di quanto sa­rebbe avvenuto senza i duri prov­vedimenti che, nei vari campi, ab­biamo dovuto prendere. È sem­pre facile dire di sì a tutti, avendo a cuore la pace sociale ma è stato molte volte l’avere spinto la con­s­ultazione fino a diventare conso­ciativismo che ha dato l’afflato di grande coesione nel Paese, di vol­ta in volta.

Afflato particolarmen­te forte in quegli anni che poi, in re­trospettiva, sono stati quelli deva­­stanti, che hanno determinato la condizione da cui l’Italia oggi cer­ca di uscire ma si scarica il peso so­ciale sulle inermi spalle di bambi­ni che sarebbero nati decenni do­po e che ora sono i nostri giovani». Infine, congedandosi, un richia­mo di Monti al governo che verrà: «Invito fin d’ora i politici che ver­ranno ad avere pazienza, perché le misure andranno sostenute e perché saranno operazioni lun­ghe ».

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