Con Silvio sul Frecciarossa: caffè, giornali e il sogno 53%

Berlusconi sceglie il treno per andare a Roma: "L'alta velocità l'ho fatta io e volevo provarla". Poi confessa: "Spero che un partito prenda il 53% dei voti e cambi la Costituzione"

Berlusconi torna a Roma da Milano in treno
Berlusconi torna a Roma da Milano in treno

Cammina sulla lunga piattaforma a passo spedito. E risale tutto il Frecciarossa. Sono le dieci meno un quarto del mattino e sotto la grande volta, quasi da planetario, della stazione Centrale, Milano s'incuriosisce «Ma è Berlusconi?» «Guarda, è Berlusconi», «Berlusconi prende il treno, ma dai». Stupore per una sortita che nessuno si aspettava. Una piccola apparizione. Forse molti pensavano che il Cavaliere fosse arroccato nel suo bunker di Arcore, in una giornata come questa poi, con i titoli dei giornali dedicati al disastro Lazio. E invece lui è lì, fra i binari 12 e 13. Naturalmente l'ex premier è pronto a smentire ogni interpretazione politica del viaggio sui binari: «Ho preso il treno perché è comodo», spiega al Giornale mentre si siede al suo posto nella carrozza 1. Certo, il Frecciarossa può anche essere un termometro degli umori del Paese, una finestra sull'Italia di oggi, scontenta e preoccupata, ma lui minimizza: «Qui sul Frecciarossa di popolo non ce n'è molto. È che l'alta velocità l'ho fatta io con Necci e allora volevo provarla».
È in ottima forma il Cavaliere, anche se l'umore dev'essere stato rovinato dalle notizie in arrivo da Roma. Saluta il personale delle Ferrovie, poi sprofonda nella poltrona insieme a un pacco di giornali alto così. «L'alta velocità - riprende con una punta di orgoglio - è una delle opere del governo Berlusconi. Nel 2009 avevo preso il treno veloce per l'inaugurazione del Milano-Roma». Oggi è tornato e la presenza si è fatta più discreta: allora il premier era seguito da un corteo di collaboratori, ora il Cavaliere viaggia con poche persone. La scorta, e poi l'onorevole Maria Rosaria Rossi e l'ex consigliere provinciale della Campania Francesca Pascale. «Viva Berlusconi che torna fra la gente», twitta Daniela Santanchè che plaude al nuovo inizio e chissà se è così. I maligni sostengono che il treno sia solo una parentesi forzata, causa lavori a Ciampino e conseguente ingorgo a Fiumicino, ma a volte i dettagli svelano la sostanza.
E un qualche segnale bisogna pur mandarlo. Il treno parte e il Cavaliere guarda fuori, forse perché le prime pagine dei quotidiani sono davvero troppo. «Ma chi lo conosceva questo Fiorito? Io non sapevo neppure chi era. Siamo stati truffati, siamo stati ingannati da questi signori. Io non ne sapevo nulla, del resto io seguo le vicende nazionali, non posso mettermi a selezionare pure la classe dirigente locale, quello è un problema dei coordinatori regionali...». Certo, presidente che 30mila euro al mese di stipendio sono tanti. «Sì, è incredibile». E la gente s'indigna. «Lì c'era un sistema per cui i partiti, tutti i partiti, si spartivano i soldi e se uno prendeva x anche l'altro non voleva essere da meno e così alla fine si è entrati in una spirale perversa. Credo - e s'interrompe come per preparare un annuncio - che presto presenteremo una proposta per ridurre drasticamente i costi della politica. Questi costi della politica vanno contenuti, così non si può andare avanti, dobbiamo abbattere le spese».
Il Cavaliere s'immerge nella lettura dei giornali, ogni tanto scambia due chiacchiere. Arriva un caffè e si compiace: «Penso proprio che lo prenderò spesso questa Frecciarossa». E Italo del suo potenziale alleato Montezemolo? «Ah sì, certo, salirò pure su quello». Anche Prodi saliva volentieri sul Frecciarossa e tagliava nastri. Il Cavaliere s'indurisce per un attimo: «Ma, non credo, al massimo ha inaugurato una stazione». Legge e si consulta con l'inseparabile Maria Rosaria Rossi, deputato del Pdl, e si vede che qualcosa gli frulla nella testa. Non sarà che pensa al Frecciarossa come a un nuovo predellino? La Stazione Centrale o Roma Termini come piazza San Babila? L'occhio corre in avanti, più veloce del treno che va a 300 chilometri l'ora, e un sorriso grande così si disegna sulla faccia. Ma è un istante, poi frena: «Dobbiamo prendere delle decisioni e la prima è quella relativa alla mia candidatura. Io non ho ancora deciso e questo dipende anche dalla legge elettorale. Se dovesse rimanere la norma attuale, allora faremo un rassemblement dei moderati con tutti i partiti che ci stanno, con Montezemolo e magari anche con Casini e in quel caso io non potrei candidarmi perché loro non vorrebbero. Altrimenti, se la legge dovesse cambiare con un impianto proporzionale, allora si potrebbe pensare a un ticket Alfano-Berlusconi per guidare il partito nella competizione elettorale».
Si vedrà. I temi in agenda sono tantissimi. «Questa notte ho lavorato con Ghedini per scrivere un disegno di legge sulla diffamazione ed evitare così che il direttore del Giornale vada in carcere». Si blocca e non resiste al gusto della battuta. «Che pubblicità ha avuto Sallusti». Sorride, osserva l'interlocutore e carica ancora: «Lui e la Minetti», che ha sfilato per una casa di costumi, «hanno avuto una gran pubblicità».
D'accordo, ma la legge mancata sulla diffamazione fotografa una classe politica inconcludente che parla, parla e non riforma il Paese. Il Cavaliere allarga le braccia sconsolato: «È vero, e infatti il grande tema di cui i giornali non fanno mai cenno è un altro». Quale? «Io spero che ci sia un partito che prenda il 53 per cento dei voti e così possa cambiare la Costituzione. In questo Paese il presidente del Consiglio può fare poco. Non può nemmeno revocare un ministro e poi il lavoro di 900 parlamentari, impegnati per mesi, viene spazzato via dalla Corte costituzionale, che è orientata a sinistra, in un pomeriggio».
Fuori si vedono le case di Roma. Si scende. La Gazzetta dello sport scivola per terra. E il Milan? «Te ne parlo la prossima volta», e questa volta il sorriso è vagamente autoironico Fuori, sulla banchina di Termini, c'è una folla discreta in attesa. «Dai Silvio», grida uno, un altro cerca di dargli la mano, ma sono in tanti a guardarlo stupiti, mentre Francesca Pascale allontana un paio di microfoni.

«Il Pdl - dichiara lui camminando verso l'uscita di via Marsala - non è allo sbaraglio». La calca aumenta, sembra un viaggio nel tempo, ma le domande sono sul presente: il suo endorsement per Renzi è stato un bacio della morte: «E allora - si congeda - non lo bacerò più».

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