Il sogno di Repubblica: diventare il partito anti Cinque Stelle

A conclusione della kermesse bolognese il direttore Ezio Mauro indica la linea: "Il comico fa populismo, noi siamo il suo opposto. Non faremo una nostra lista"

Il sogno di Repubblica: diventare il partito anti Cinque Stelle

Bologna - L’egemonia di Repubblica. L’Opa culturale sul Pd. La supplenza di leadership. L’autocandidatura a classe dirigente del Paese. Soprattutto, la risposta all’antipolitica di Grillo, grande spauracchio del momento. Francesco De Gregori ha appena finito di cantare nella città del suo amico Lucio Dalla. Si smontano gli stand, si ripiegano i cartoni con i simboli grafici della «Repubblica delle idee». La kermesse è finita e si tirano i bilanci di un evento che è anche il tentativo di superare una certa stagnazione nelle vendite. Un po’ com’è avvenuto nel mondo della musica: i dischi non tirano più e per far girare il soldo si torna ai concerti. Così i fan e i lettori s’identificano con i loro idoli, rockstar o grandi giornalisti che siano.
Ezio Mauro è felice. Ha trattenuto la commozione mentre Scalfari, ringraziandolo pubblicamente, ha fatto scattare il lungo applauso dei fan che riempiono la Sala Re Enzo. Dove va Repubblica? gli ha chiesto Concita De Gregorio. E il fondatore ha citato un breve colloquio con Mauro all’uscita dal teatro dopo l’intervista a Monti. «Sei felice?, mi ha chiesto. Lo sono, gli ho risposto». Fondatore e direttore vanno d’amore e d’accordo, tanto più in un momento in cui si afferma la centralità del giornale-partito. Nelle piazze, nell’agenda politica, nelle strategie della comunicazione, Rai in testa. Egemonia è la parola-chiave, l’«hashtag» del social network Repubblica? «Magari!», ribatte Mauro. Il festival è andato bene, meglio del previsto. «L’abbiamo organizzato in due mesi. Pensavamo che il successo sarebbe stato determinato dai nomi dei relatori, dall’efficienza organizzativa e dalla bellezza del posto. Invece la buona riuscita dipende dalla gente, dai giovani che partecipano». Avete preso il centro della scena: parlare di giornale-partito non è un’offesa... «La politica è una parte importante dei nostri interessi, ma noi abbiamo un rapporto più globale con i lettori. Che sono genitori, figli, gente che lavora e ha del tempo libero... Giornale-partito non significa creare una nostra lista, studiare candidature al nostro interno come qualcuno continua a scrivere. Se Zagrebelsky e altri amici ne facessero una, voterei sempre Pd». Il quale Pd, tuttavia, non soddisfa. Palesa un deficit di leadership. Bersani difetta di carisma, «è diventato simpatico e famoso facendo l’imitazione di Crozza», Scalfari dixit. E allora l’ammiraglia taglia gli ormeggi, esce dal porto e lancia l’operazione pubblica di acquisto. «Il Pd non deve temere di essere un partito scalabile», ha detto Mauro. Prima o poi il segretario giusto salterà fuori.
Anche se c’è Grillo di mezzo. Un fantasma che può complicare le grandi strategie del partito di Repubblica. In questi giorni il comico aleggiava tra gli stand e nei dibattiti. Scalfari non ha dissimulato il suo disprezzo. Vuole abolire i partiti, far chiudere le banche: due architravi del «Contratto sociale» del fondatore. Mauro è più articolato. «Grillo è la spia di un forte malessere, ma vuol esserne anche la soluzione. Per questo è un fenomeno in espansione. In un momento di crisi come questo il populismo, sia di destra che di sinistra, può avere gioco facile perché semplifica, taglia via le mediazioni. Noi siamo esattamente l’opposto», sottolinea il direttore, «siamo per il confronto con la complessità. Siamo per il rispetto delle diversità, come si è visto anche in questi giorni». Dunque, l’egemonia culturale passa di qua? «Magari!», ribadisce Mauro tra un autografo e l’altro. «Sono quindici anni che ho in mente questa manifestazione.

Ma c’era Berlusconi e sarebbe risultata ancor più politica, schiacciata dentro uno schema troppo stretto». Avrete aspettato, ma adesso recupererete... L’anno prossimo? «Ci prendiamo una settimana per pensarci. Ma questo successo c’invoglia».

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