La solita Bindi, non si spezza ma s'impiega

Dopo cinque mandatiI numeri Rosy vuole chiedere la deroga anche se molti sono pronti a votarle contro

La solita Bindi, non si spezza ma s'impiega

Non si spezza ma s'impiega, ancora «per quattro legislature» («capito bischero!» dice lei in un fuorionda rapito durante i festeggiamenti per Bersani). Non si fa rottamare e non fa passi indietro, Rosy Bindi non si cura della regola dei «15 anni e non oltre» stabilita dal Pd, e punta a fare 35 anni filati in Parlamento. Sconfitto Renzi, però, ci sono i bersaniani, specie gli under 40, a mettersi di traverso. Sono in molti dentro la direzione nazionale Pd, organo che dovrà votare la deroga che la Bindi è intenzionata a chiedere, a vedere l'ex ministra di Sinalunga come un fardello. Soprattutto per l'immagine di rinnovamento che il Pd, dopo lo scampato ciclone Renzi, vuole darsi. In campagna elettorale le apparizioni tv della Bindi, la più feroce oppositrice del sindaco fiorentino, sono state giudicate unanimemente un autogol dall'ala pro Bersani (su Raitre le è scappato addirittura un vaffa... perché non le hanno fatto finire l'intervento).

Su Twitter il popolo di sinistra ha twittato parole di fuoco sulla presidente del Pd, invitandola non gentilmente a farsi da parte, come hanno fatto (almeno sul tema ricandidatura) altri big come Veltroni e D'Alema. La portavoce del comitato Bersani, Alessandra Moretti, recapita un messaggio diretto proprio a lei quando al Mattino dice che «le regole sono regole e devono valere per tutti. Il che vuol dire che dopo 15 anni in Parlamento si deve ritornare a fare quel che si faceva prima. Oppure ricavarsi altri ruoli, come il sindaco o l'assessore». Linea che segue quella indicata dal segretario, che però è meno definitivo: nel Pd resta il criterio di 15 anni come limite alla presenza parlamentare «salvo deroghe richieste individualmente e votate dalla direzione». Ma che succede se la direzione voterà? I rottamatori bersaniani sono decisi a farla fuori, come sembra di capire dalle parole di Matteo Ricci, giovane presidente di Provincia e membro della direzione Pd («Quando arriverà il momento, io voterò contro la deroga chiesta da Rosy Bindi. E vi assicuro che non sarò il solo»).

Lei, la Bindi, non fa una piega, e sfida chi la vuole prepensionare: «Ho resistito a vent'anni di berlusconismo, figuriamoci se non resisto ora». Come finirà? Il segretario Bersani vuole evitarsi la grana di dover decidere tra lei e i suoi rottamatori. Perciò punta, nel caso in cui rimanga il Porcellum come legge elettorale, alle primarie di collegio per i suoi candidati. A quel punto saranno gli elettori Pd a decidere se la Bindi deve trovare altra occupazione o se invece deve restare in Parlamento. La Bindi tra l'altro non è donna di modeste ambizioni. Nel 2007 ha tentato la corsa alla segreteria contro Walter Veltroni, due volte ministro con Prodi, è vicepresidente della Camera e aspirerebbe a farne la presidente col prossimo governo, ma per farlo occorre superare lo scoglio dell'eventuale deroga, perché dev'essere necessariamente deputato.

Di sicuro la battagliera Bindi non farà marce indietro e anzi attaccherà chi prova a destituirla. È cattolica ma morde («Kill» Bindi).

L'anno scorso la Concia, sua collega deputata Pd, si era beccata un simpatico «rompicoglioni» (con l'aggiunta di «estremista» e il consiglio non richiesto di cercarsi uno psicologo) dalla Rosy, scocciata da un nonnulla. E a D'Alema, sempre in Aula, aveva risposto malissimo (pare una parolaccia) per una semplice risposta ironica. Basta poco per darle fuoco. Figuriamoci non darle la deroga.

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