Così spread, se vi pare. Dipende da come lo si interpreta, quando sale e quando scende: da chi o da che cosa dipende? Dipende. Nel lunedì nero (meglio, grigio) delle dimissioni annunciate da Monti, la politica ha letto l'impennata momentanea dello spread (poi ridisceso a 330 punti, cioè ben 38 punti in meno di un mese fa) come la conseguenza del panico internazionale per l'addio di SuperMario, o per l'incubo di un Berlusconi VI (L'Unità: «Il ritorno di Silvio: spread oltre 350»). Il premier ha elegantemente sfumato la polemica diretta, ma a Uno Mattina non ha scoraggiato una lettura causa-effetto di questo tipo, avvertendo che gli italiani devono liberarsi di alcuni falsi miti, «tipo che ciò che un governo fa (tra cui dimettersi, ndr) non influisca sul suo spread». Durante i 12 mesi di premiership, tuttavia, Monti ha spesso addebitato ad altri, e non al suo governo, le frequenti impennate dello spread Btp-Bund (mentre ha avocato a sé l'effetto causale quando calava).
A luglio, quando lo spread - sempre sopra i 450 punti -, arrivò a sfondare anche i 500 punti base (soglia che costò le dimissioni al precedente esecutivo), per Monti non fu responsabilità del governo, ma piuttosto delle affermazioni incaute della presidenza di Confindustria: «A fine marzo la Marcegaglia aveva detto alla stampa internazionale che la riforma del lavoro è pessima, il 19 giugno Squinzi ha detto che la riforma del lavoro è, cito, una vera boiata, ora dice che dobbiamo evitare la macelleria sociale - ammoniva Monti -. Dichiarazioni di questo tipo fanno aumentare lo spread e i tassi a carico non solo del debito, ma anche delle imprese; quindi invito a non fare danno alle imprese».
Anche prima Monti aveva rintracciato nella condotta altrui le cause dell'aumento del differenziale. Già da subito, dicembre 2011, Monti si doleva dello «sgradevole» aumento dello spread, anche in quel caso non addebitabile al suo governo: «Per me lo sgradevole rialzo dello spread dopo il 5-6 dicembre - spiegò il premier - è attribuibile alla delusione dei mercati per i risultati del Consiglio europeo». Quando però lo spread è calato, è capitato che Monti l'abbia attribuito proprio al suo governo, come spiegò ad una cronista a dicembre 2011, quando il differenziale era sceso di molto rispetto ai massimi di novembre: «Io credo che già da qualche settimana ci si sia accorti che il governo stia facendo bene per l'Italia», rispose Monti, collegando direttamente l'azione del governo all'andamento spread.
Diverso invece rispetto a giugno, quando Monti spiegò che l'andamento degli spread dipendeva, ancora una volta, dalle mosse dell'Europa, più che dall'Italia: «Se al Consiglio Ue del 28 giugno ci sarà un pacchetto credibile di misure per la crescita, allora lo spread italiano diminuirà». Mentre qualche settimana più tardi, con lo spread ai massimi del 2012, dirà che la colpa era di alcune irresponsabili affermazioni dei paesi del Nord Europa: «L'aumento degli spread dopo il vertice Ue è dovuto anche a dichiarazioni, che considero inappropriate, di autorità di Paesi del Nord che hanno avuto l'effetto di ridurre la credibilità delle decisioni prese dal Consiglio Ue». Dipende certo anche dell'Italia, se le cose si mettono male, più però per colpa dei partiti che del governo: «Lo spread è risalito per l'incertezza del quadro politico, avvicinandosi il termine di un'esperienza nota mentre il futuro è ignoto» dirà a fine luglio. Se in carica c'è il governo più amato da Berlino, Bce e Europa, e ciononostante lo spread peggiora, è colpa dei timori per il dopo Monti, non del governo Monti.
Un po' diversamente da come spiegava a fine novembre 2011, con gli spread ancora sopra i 500 punti malgrado il suo arrivo: «La lettura che io propongo di dare a questa vicenda dello spread, e che veramente invito a tener presente, è di non sovrastimare né quando va bene né quando va male». «Che ci importa dello spread?», direbbe qualche ex premier senza loden.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.