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Stop al carcere ai giornalisti, primo sì

Ok della Camera al ddl sulla diffamazione: votano contro Sel e M5S. Il testo va al Senato, dove rischia di incagliarsi

Stop al carcere ai giornalisti, primo sì

Roma - Per una volta, la legge viaggia veloce. Velocissima. Quella sulla diffamazione, la Camera l'approva a soli 4 mesi dall'inizio dell'esame.
E finalmente, viene cancellato il carcere per i giornalisti, sostituito da pene pecuniarie (da 5 a 60mila euro e, in caso di recidiva, con l'interdizione dalla professione fino a 6 mesi) e dall'obbligo di rettifica senza commento a favore dell'offeso, che estingue il reato (per la violazione, sanzione amministrativa da 8 a 16mila euro).
I 308 voti a favore nell'aula di Montecitorio sono di Pd, Pdl, Scelta civica (in dissenso Angelo Cera) e Lega Nord, i 117 contrari di Sel e M5S. La legge, che ha come relatori Enrico Costa del Pdl e Walter Verini del Pd, ha 4 articoli e nasce da una proposta presentata il 13 maggio. Il testo base, abbinato a quelli simili di Stefano Dambruoso (Sc), Mirella Liuzzi (M5s) e Pino Pisicchio (Cd), è stato adottato il 16 luglio. In commissione Giustizia l'esame è iniziato il 4 giugno si è concluso il 2 agosto. Il 6 dello stesso mese la legge è arrivata nell' aula che ieri ha concluso l'esame in 3 ore.
Ma attenzione, può ancora «incagliarsi» a Palazzo Madama, com'è successo l'anno scorso per la «legge Sallusti», nata dopo la condanna al carcere del direttore del Giornale. «Sembrava un'impresa impossibile - ricorda Costa - tant'è che nella scorsa legislatura al Senato non si raggiunse alcuna intesa». E Pisicchio, autore appunto della prima proposta, commenta: «Mettiamo fine ad un anacronismo, quello del carcere per i giornalisti, che riecheggia culture incompatibili con la democrazia costituzionale». Per Verini così «l'Italia si allinea all'Europa». Critiche da Sel che parla di «legge di larghe intese ma di mezze misure».
Il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri sottolinea le «significative ed importanti novità» approvate, con le quali si segue la linea tracciata dall'Ue e dalla recente sentenza per il direttore di Libero, Maurizio Belpietro.
Queste novità riguardano anche giornali online e radiofonici; il risarcimento del danno sarà quantificato in base a diffusione della testata, gravità dell'offesa ed effetto riparatorio della rettifica; il direttore o il vice rispondono non più «a titolo di colpa» ma solo se c'è un nesso di causalità tra omesso controllo e diffamazione, la pena è ridotta di un terzo ed esclusa l'interdizione dalla professione del direttore per omessa vigilanza; oltre al professionista, anche il pubblicista potrà opporre al giudice il segreto sulle fonti; per lite temeraria, il querelante potrà essere condannato a pagare da mille a 10mila euro; anche per ingiuria e diffamazione tra privati niente carcere ma multa aumentata.
Regole che soddisfano solo in parte il presidente dell'Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino e quello della Fnsi Franco Siddi. «Un primo passo - dicono - ma la strada è lunga».

E segnalano correzioni necessarie: dall'ammenda troppo bassa per le querele temerarie alla rettifica senza commento, dalla conferma dell'obbligo di rivelare la fonte se dirimente nella causa alla mancanza di un Giurì per l'interdizione professionale. Ringrazia un altro direttore a un passo dal carcere, Giorgio Mulè di Panorama, «certo» che entro il 2013 il Senato dirà l'ultimo sì.

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