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Gli strani 401 giorni di Monti tra spread, lacrime e gaffe

Il più politico dei governi tecnici al capolinea. Rimarranno gli inchini alla Merkel, la grana esodati e le uscite infelici

Gli strani 401 giorni di Monti tra spread, lacrime e gaffe

Roma - Quattrocento giorni più uno. Poche riforme fatte, molte arenate. Lo spread abbattuto, il morale degli italiani pure. Lacrime (non solo quelle di Elsa Fornero) e sangue. A fine anno, si sa, è uso regalare agende. Mario Monti se ne va donando a un intero Paese la sua e spera di essere il primo a scriverci sopra.

Il governo Monti, ovvero il più politico dei governi tecnici e il più tecnico dei politici - fate voi - nasce ufficialmente il 16 novembre 2011, quando il Professore e i suoi vecchietti (con 64 anni di media al momento del suo insediamento è di gran lunga l'esecutivo più anziano della storia repubblicana) prestano giuramento. Ma tutto si decide prima, il 9 novembre, quando accadono due cose: Monti viene nominato senatore a vita e lo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi per qualche ora supera quota 500. Il giorno dopo Il Sole24Ore lancia a titoli cubitali in prima pagina il suo grido d'angoscia: «Fate presto!». Berlusconi lascia, a Palazzo Chigi sale Monti e il suo drappello di tecnici («un governo senza infamia ma col loden», si scherza). Lo spread però continua a salire, a fine novembre tocca quota 575. Torna a scendere solo dopo la collocazione di titoli di Stato senza commissioni: un atto di spavalderia che rassicura i mercati e accolla parte del debito pubblico ai risparmiatori, limitando le speculazioni. E lo spread inizia a scendere fino all'«under 300» di queste ore.

Ma lo spread non si mangia. Il resto degli indicatori, quelli commestibili, dopo tredici mesi sono allo stremo: il debito pubblico oltre la soglia psicologica dei 2 milioni di miliardi (li avete mai visti tanti zeri in fila indiana?), i consumi a picco, la produzione industriale idem, i mutui dimezzati, piazza Affari che piange, le retribuzioni senza ossigeno, la disoccupazione a due cifre (10,8 per cento), il pareggio di bilancio un'utopia, anche se infilata a forza nella Costituzione (ma a che serve sennò la Carta?). Perfino la stampa tedesca, la curva dei tifosi di Monti, in pagella mette al Professore un sei meno meno. «I tecnici al governo hanno amministrato bene l'Italia, ma non l'hanno trasformata in modo duraturo», sibila Die Zeit. Insomma, un pool di commercialisti. Per le rivoluzioni, prego ripassare.

L'esecutivo si insedia il 16 novembre e parte di slancio: dopo il via libera del Senato (281 sì, 25 no, 0 astenuti) e della Camera (556-61-0) il 4 dicembre viene emanato il decreto legge Salva Italia, tutto bilancio pubblico, previdenza e sviluppo. Il 16 dicembre ecco la manovra economica, con la prima delle oltre cinquanta fiducie chieste dal governo nato con la più ampia maggioranza della storia repubblicana. Il 10 gennaio il primo scandaletto: si dimette il sottosegretario Carlo Malinconico, che avrebbe beneficiato di alcune vacanze pagategli da un imprenditore. L'azione del governo rallenta, a marzo viene varata la riforma del mercato del lavoro, che diverrà legge a luglio e scoppia la grana degli esodati. A maggio gli italiani imparano un'altra locuzione inglese: spending review, ovvero la revisione della spesa pubblica con cui Monti intende reperire i 4,2 miliardi per evitare l'aumento dell'aliquota Iva. Nel frattempo è partita anche la riforma della previdenza, che istituisce il sistema contributivo per tutti. Il 31 ottobre arriva il decreto legge sul taglio delle province, che poi naufragherà miseramente. Triste, solitario y final il governo Monti si arena nel velleitarismo e nelle distrazioni personali dei ministri, impegnati al ricollocamento politico personale in vista della fine della legislatura. Che viene anticipata improvvisamente a inizio dicembre, quando il Pdl inaugura un sostegno a intermittenza a Monti e questi annuncia le dimissioni. Adieu.

Che cosa resta di questi tredici mesi di Italia in loden? Restano le lacrime di Elsa Fornero, ministra del Welfare, mentre pronuncia la parola «sacrifici» (sapesse le nostre). Resta il silenzio di Monti allo stadio di Kiev all'esecuzione dell'inno italiano prima di Italia-Spagna finale degli Europei di calcio (finirà 0-4 e qualcuno darà la colpa all'illustre tifoso occasionale). Restano i continui inchini ad Angela Merkel, a Bruxelles, all'eurozona. Restano le gaffe del Professore, che agli esordi giura sulla volontà di «andare più a fondo» (promessa mantenuta) e più avanti consola così i lavoratori precari: «Diciamoci la verità: che monotonia un posto fisso per tutta la vita!».

Peccato che il Professore non sembri trovare affatto noiosa la prospettiva di conservare quella scrivania di Palazzo Chigi.

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