«State calmi», ripete Berlusconi a quanti - e sono tanti, tantissimi - lo chiamano inorriditi. Sono i lealisti pidiellini che, sentite le parole di Letta, fanno un salto sulla sedia. I toni sprezzanti del premier, soltanto poche ore dopo aver incassato la fiducia, sono uno sputo in faccia difficile da accettare. «Avete ragione - dice il Cavaliere - Ma stiamo calmi. Non dividiamoci adesso». È un Berlusconi stile pugile quello che ad Arcore incassa un duplice schiaffo. Il primo è della sinistra, sia quella in tuta di Epifani sia quella in grisaglia di Letta, che proprio non ce la fa a contenere l'odio per l'avversario. Il secondo schiaffo è degli alfanidi, silenti per ore, mentre si ammonticchiano sul tavolo del salotto i testi delle agenzie con le dichiarazioni dei fedelissimi furenti. Dalla Gelmini a Capezzone; dalla Santanchè alla Prestigiacomo; dalla Bernini a Romano; passando per Gasparri e Rotondi. Letta parla verso mezzogiorno, Alfano replica soltanto alle 15.40. Tre ore e mezza di silenzio in cui i filogovernativi pidiellini tacciono imbarazzati. Un lasso di tempo in cui gli altri, i berlusconiani senza se e senza ma, si sfogano con il presidente: «Io non vado a finire in una specie di Udeur per colpa di Angelino», si sfoga uno. «Non possiamo non replicare, Presidente. Quando attaccano te in questo modo supponente attaccano anche noi, la nostra storia». Berlusconi apprezza, condivide, dice che «sì, è vero, ci sono rimasto malissimo». Ma poi frena, smussa, incassa l'ennesimo colpo e, ancora una volta, pensa al futuro del partito. «Nervi saldi, non dividiamoci». Poi, la nota, dura, di Alfano: «Non accettiamo e non accetteremo ingerenze nel libero confronto del nostro movimento».
Berlusconi sa che nel partito è scoppiato un incendio ma non vuole buttarci sopra benzina. Vorrebbe spegnere i falò interni che ieri erano evidenti in due differenti interviste. Mentre il lealista Raffaele Fitto, tramite Corriere della Sera, proponeva congresso e linea dura sul fronte delle tasse, l'alfaniano Gaetano Quagliariello chiudeva la porta alla democrazia interna e blindava il governo che «deve andare avanti fino al 2015». Divisioni intestine che emergono ed emergeranno, a tutto vantaggio del Pd che cerca di distruggere il Pdl. La prova? Il segretario piddino Epifani che tira per la giacca Alfano e gli chiede di «creare subito i gruppi autonomi così è tutto più chiaro». Tradotto: abbandona definitivamente il Cavaliere e abbi il coraggio di strappare fino in fondo. Berlusconi sa bene che il gioco della sinistra è questo e quindi decide di incassare l'ennesimo insulto e di rompere le uova nel paniere del Pd, predicando l'unità.
E il capogruppo pidiellino alla Camera Renato Brunetta, nel mirino degli alfanidi, coglie la palla al balzo e accarezza sia il segretario Angelino sia il leader Silvio: «L'efficace risposta di Alfano a Letta ed Epifani è quella di tutto il Pdl/Forza Italia. Premier e segretario del Pd, con le loro uscite avventate e ingenerose, non potevano fare un regalo più grande e puntuale alle ragioni della nostra unità intorno a Berlusconi». Ma nel partito c'è fermento.
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