N on ci fu solo Alfredo Robledo, procuratore aggiunto dalla Repubblica, a insorgere contro l'assegnazione a Ilda Boccassini dell'inchiesta sul «caso Ruby». Nello scontro senza quartiere che agita la procura di Milano saltano fuori documenti che dimostrano come a considerare una plateale violazione delle regole l'impossessamento del fascicolo da parte della Boccassini fu anche uno dei grandi vecchi della Procura milanese. Ferdinando Pomarici è stato il pm del caso Sofri, procuratore aggiunto e capo del pool antimafia appena prima di Ilda. Oggi è un semplice pm, ma molto ascoltato. E anche lui mise nero su bianco il suo dissenso nelle scelte del procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, che nel 2010 subì la pretesa della Boccassini di gestire in prima persona l'inchiesta sul Cavaliere. La dottoressa con i capelli rossi riteneva di essere l'unica in grado di incastrare Berlusconi, mettendo in campo una potenza di fuoco e una tecnica investigativa pari a quelle delle inchieste antimafia. E i fatti, dal suo punto di vista, le hanno dato ragione. Bruti nega ogni scontro: il procuratore aggiunto Alfredo Nobili, a cui sulla carta poteva toccare il fascicolo, avrebbe commentato con un «grazie, sono contento, io ho altre cose da fare». Ma questo è accaduto, secondo le accuse di Robledo, calpestando le regole interne della Procura. Al Csm, Robledo ha raccontato che in quei mesi del 2010 alle riunioni di Bruti con i suoi vice partecipava anche Pomarici. Fin quando lo stesso Pomarici comunicò a Bruti che non sarebbe più stato presente, non condividendo quanto accadeva in procura. Alla richiesta di spiegazioni, indicò una serie di episodi, tra cui il caso Ruby. Ma nulla cambiò. E lo stesso Pomarici venne scavalcato un paio d'anni dopo, quando Bruti Liberati avocò il fascicolo su Alessandro Sallusti, per impedire l'arresto del direttore del Giornale. Un intervento fatto a fin di bene (anche in questo caso Bruti nega), ma sovvertendo le prassi e le competenze.
Ora anche quell'episodio entra nel conto delle contestazioni che il Csm intende muovere a Bruti Liberati, e che rischiano di mettere in forse la sua permanenza sulla poltrona di procuratore. Per questo Pomarici e la Boccassini verranno convocati e interrogati dal Consiglio, probabilmente martedì 13 maggio. Verrà sentita anche Nunzia Gatto, capo dell'ufficio esecuzione, sulla avocazione del fascicolo Sallusti. E verrà chiamato anche Francesco Greco, capo del pool reati finanziari, che dovrà rispondere su un altro punto che si annuncia delicato per Bruti: il ritardo di quasi un anno nella iscrizione di Roberto Formigoni nel registro degli indagati per il reato di corruzione, avvenuta nel luglio 2012 nonostante già alla fine di luglio 2011 alcuni testimoni del caso San Raffaele, tra cui la segretaria Stefania Galli, avessero parlato esplicitamente del passaggio di tangenti verso la Regione. Sul punto, davanti al Csm, Bruti Liberati ha spiegato che solo «quasi a un anno» dall'avvio delle indagini sono emersi «gli elementi sufficienti per iscrivere i reati di corruzione», accusando poi Robledo di aver voluto procedere «sulla base di un articolo di giornale». Postdatando l'iscrizione di Formigoni, la Procura - secondo quanto ha sostenuto Robledo - avrebbe violato irrimediabilmente i diritti difensivi del governatore della Lombardia, e messo a rischio l'utilizzabilità degli atti di indagine. E avrebbe soprattutto tenuto fuori dalla gestione dell'inchiesta Robledo e il suo pool, considerati - e tutto qui alla fine è il nocciolo dello scontro furibondo in atto a Milano - poco disciplinati, e poco convertibili a logiche di opportunità politica. Quella opportunità politica che, secondo Robledo, a Milano la fa da padrona.
Come andrà a finire è presto per dirlo.
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