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Sul ring della giustizia: sentenza con lo sconto per il pugile olimpionico

Sul ring della giustizia: sentenza con lo sconto per il pugile olimpionico

Un pugno lungo quasi trent'anni. Un montante che ha lasciato basito l'avversario, la Cassa edile della provincia di Caserta. Un colpo sferrato su un ring davvero speciale: quello della sezione lavoro del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Angelo Musone, boxeur di successo negli anni ottanta, è infatti il primo cittadino a memoria d'uomo che ottenga uno sconto dalla giustizia per «meriti sportivi». Sì, testuale, lo scrive il giudice nella sentenza con cui chiude la contesa fra l'ex pugile campano e il suo datore di lavoro. Per il magistrato appare «equo compensare le spese di lite in misura pari alla metà» e questo solo «in considerazione dei meriti sportivi del ricorrente». Ovvero, Musone.
La giustizia premia dunque un atleta dal passato glorioso. Musone, classe 1963, partecipò ai giochi di Los Angeles dell'84 e se la cavò alla grande: strappò il bronzo nella sua categoria, quella dei pesi massimi, e se si consulta quell'enciclopedia popolare chiamata Wikipedia si scoprirà che Musone, diciotto successi su diciannove incontri in carriera, fu fermato solo in semifinale dallo statunitense Henry Tillman, al termine di un incontro a dir poco controverso. Alla fine del match, l'americano barcollava e l'italiano, entusiasta, raccoglieva l'applauso del pubblico sicuro del suo successo. Invece i giudici, forse complice il clima casalingo, rovesciarono il risultato. Spinsero avanti Tillman. In pratica lo stesso scippo subito da Roberto Cammarelle a Londra.
Quest'anno un altro magistrato gli ha restituito l'onore macchiato allora, solo che la riparazione è arrivata da una causa di lavoro, una delle tante che affollano le nostre aule. Dunque, Musone aveva chiamato in causa la Cassa edile che, secondo lui, non gli aveva riconosciuto le mansioni svolte. In sostanza, era stato assunto come impiegato di II categoria e III livello, ma sosteneva di svolgere un lavoro da I categoria super. Come la sua stazza.
Il giudice ha studiato le carte, ha sentito i testimoni e ha concluso che, purtroppo, la medaglia di Los Angeles non aveva diritto al salto di categoria: «Le sostituzioni, infatti, avevano durata di un giorno a settimana». Tropo poco per garantire un lieto fine, come nelle favole. E comunque non c'erano i presupposti per il passaggio, più difficile di quello del mar Rosso.
Tutto finito? Sì e no. Sì, perché la carriera professionale del colosso di Marcianise si è fermata lì, no perché il giudice gli ha comunque tributato una sorta di standing ovation. Persa la causa, Musone avrebbe pure dovuto metter mano al portafoglio e invece che cosa ha stabilito il magistrato? «Le spese di lite seguono la soccombenza, apparendo equo compensarle in misura pari alla metà, in considerazione dei meriti sportivi del ricorrente».
Il vocabolario è tutto tecnico, con paroloni che sembrano bendaggi sul corpo sofferente del linguaggio. Ma il senso è chiaro; anche se non si era mai sentita una storia del genere, la magistratura s'inchina al pugno del peso massimo che a suo tempo aveva fatto sognare gli italiani. Così, in barba a tutte le regole, Musone pagherà solo il cinquanta per cento delle spese di lite: in una diatriba in cui i costi sono già ridotti all'osso come quella del lavoro verserà solo la metà dell'onorario ai legali di parte avversa. A spanne, almeno tre-quattromila euro.

Non è molto, ma non è nemmeno poco per un pugno andato a segno nell'estate del 1984.

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