«Che sarebbe stata una giornata speciale i manifestanti lo avevano capito da subito. Da quando, alle prime luci dell’alba, vedevano le corsie dell’autostrada occupate dai 10mila pullman i cui rivoli avrebbero poi formato il fiume multicolore che avrebbe invaso la città. Oppure dai treni carichi di bandiere rosse che hanno invaso le stazioni di Roma. E giornata speciale è stata… “Serenità”, aveva chiesto Sergio Cofferati dopo l’assassinio a Bologna di Marco Biagi. E la serenità ha portato in piazza i tre milioni di persone che hanno risposto all’appello della Cgil “contro il terrorismo e per i diritti”…».
Con queste parole, esattamente dieci anni fa, i giornali della mattina raccontavano commossi l’enorme manifestazione che il giorno prima - il 23 marzo 2002 - aveva riempito il Circo Massimo per gridare che «il Paese è con il sindacato, l’articolo 18 non va toccato». Scalfari intitolò il suo editoriale «L’immensa forza tranquilla» e si schierò in difesa «della certezza dei diritti contro l’arbitrio, della libera eguaglianza contro il privilegio».
Si chiamava «manifestazione per i diritti», l’appuntamento della Cgil, e divenne anche «contro il terrorismo» perché Biagi era stato assassinato tre giorni prima, ma fondamentalmente era una manifestazione contro il secondo governo Berlusconi, dove l’articolo 18 diventava il catalizzatore, l’icona, il mantra capace di cementare un’identità politica incerta. E infatti sfilarono a Roma, accanto ai metalmeccanici della Fiom e ai pensionati della Cgil, anche i no global e i girotondini, e naturalmente tutti i partiti di sinistra, e tra loro anche i Ds. Fassino, che ne era il segretario, sfilò insieme a D’Alema e a Cofferati, «il Cinese» che dalla Cgil sembrava prossimo a spiccare il volo per diventare il capo di tutta la sinistra.
Già, perché la manifestazione di dieci anni fa fu anche una specie di primaria di piazza, il culmine della parabola politica (non sindacale) di Cofferati: Berlusconi era tornato trionfalmente a Palazzo Chigi, Nanni Moretti aveva gridato a piazza Navona che la sinistra doveva al più presto cambiar facce, e molti cominciarono a vedere nel leader carismatico della Cgil il nuovo Messia. Fra questi, naturalmente, Cofferati stesso (che come si sa finì poi malissimo: sindaco-sceriffo a Bologna e subito pensionato a Strasburgo).
Le somiglianze con il 2012 sono impressionanti. Tanto per cominciare, l’articolo 18 è ancora lì, Berlusconi dovette rimangiarsi la riforma e nessuno sa come andrà a finire la prossima battaglia parlamentare.
E se Napolitano lo vedesse sfilare con la Camusso, c’è da scommettere che manderebbe i corazzieri a riprenderlo.
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