Autocoscienza in tivù del Pd. Cinque big di primissimo piano sfilati in rapida sequenza. Bersani, Renzi, Barca, Veltroni ed Epifani. Intervistati, interrogati, scandagliati, scannerizzati. Una passerella di tattiche, segnali e veti incrociati. Una vivisezione. Quasi un mini-congresso anticipato (quello vero dovrebbe tenersi in autunno). In realtà, due serate di psicanalisi democrat davanti alle telecamere di Raitre e La7, reti di riferimento. Alla fine siamo sempre al partito in cerca d'autore. O in cerca di leader, con tutto il rispetto del neosegretario Guglielmo Epifani, l'ultimo a stendersi sul lettino di Lilli Gruber, anche lei come Giovanni Floris ed Enrico Mentana strizzacervelli al capezzale del corpaccione di correnti, renziani e dalemiani, prodiani e giovani turchi.
Nemmeno un'ora e mezzo di Faccia a Faccia tra Fabrizio Barca e Walter Veltroni auscultati dal direttore del TgLa7 ha individuato la terapia giusta per rianimarlo. Avrà pure vinto il primo turno delle comunali, ma da quanto accade in questi giorni, tra mozioni di disturbo e ultimatum al governo, la sensazione netta è che il Pd sia più che mai un partito in crisi d'identità. Diviso. Amletico. Angosciato.
La psico-seduta-tivù era cominciata martedì a Ballarò con Bersani «segretario dimesso, una nuova figura politica» (Luca Sofri su Twitter). Intervistato dal Floris di fiducia l'ex smacchiatore di giaguari ha lanciato qualche sassolone su Grillo, il grande sconfitto delle amministrative («L'arroganza logora chi ce l'ha», riferendosi al famoso streaming). Ma soprattutto ha stoppato Renzi, l'eterna risorsa in panchina che prova a guastare i piani di Letta. Sarà il sindaco di Firenze il futuro candidato premier? «Non facciamoci dei film strani. Adesso bisogna governare e noi abbiamo un ottimo premier, si chiama Enrico Letta», ha decretato Bersani malcelando un certo nervosismo.
Forse prefigurandosi l'ottima audience, una mielosa Gruber ha mostrato a Renzi l'altolà dell'ex segretario. Al quale il film in programmazione a Palazzo Chigi non piace. La sua preoccupazione è che governo e maggioranza finiscano «per fare melina. Non vorrei che il governo delle larghe intese diventasse delle lunghe attese», ha malignato. Critiche ribadite anche ieri da Renzi, alla presentazione del suo libro, con relativa nuova polemica con Bersani. Insomma, sebbene garantisca che può pure «saltare un giro», il giovane sindaco scalpita nervoso a bordo campo. C'è da capirlo. Se Letta va avanti, la sua ora si allontana. E quanto al partitone, malgrado dica che bisogna andare «oltre la rottamazione», difficile pensare che chi l'ha subita ora gli stenda la corsia di velluto. D'Alema, per dire, l'altro giorno ha ufficializzato la candidatura alla segreteria di Gianni Cuperlo.
Veltroni, altro rottamato celebre, riconosce che si tratta «di un problema d'identità. Siamo rimasti intrappolati per vent'anni nella logica di berlusconismo e antiberlusconismo», ha ammesso alla buon'ora. Così la sinistra non è mai riuscita a «far diventare maggioranza il riformismo, nemmeno quando ha vinto». Ricette, visioni comuni, però non ce ne sono. Barca osserva che «il Pd ha segnalato impotenza. Non ha mai dimostrato di credere davvero nel cambiamento». Eccola la parola chiave, il mantra della psico-seduta. In vario modo la usano tutti, Bersani, Renzi, Veltroni, Barca ed Epifani.
di Maurizio Caverzan
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