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Tira e molla sugli stipendi dei supermanager pubblici

La Camera: ok ai tagli, ma rischiano di essere esclusi i vertici delle Authority e degli enti locali. Il tetto ai compensi pubblici è fissato a 295.000 euro lordi l'anno

Tira e molla sugli stipendi  dei supermanager pubblici

Roma - Il tetto per i maxi-stipendi dei manager pubblici sarà introdotto da subito e per tutti: statali e amministrazioni locali. Non è possibile rimandare. Confronto serrato tra governo e Parlamento e in commissione a Montecitorio tra Pd e Pdl sul provvedimento che impone un limite di 294.000 euro per i dirigenti della pubblica amministrazione, limite previsto in riferimento allo stipendio del presidente della Corte di Cassazione. Perplessità sulla possibilità di un taglio immediato degli stipendi d’oro erano state messe nero su bianco durante il passaggio nelle commissioni Affari Costituzionali e Lavoro della Camera. In una prima bozza di parere i due relatori, Donato Bruno del Pdl e Silvano Moffa di Popolo e territorio, pur favorevoli al provvedimento, evidenziavano la necessità di correzioni e l’impossibilità di un’immediata applicazione.

Pronta la reazione del ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi. Le norme contenute nel cosiddetto decreto Salva Italia, ribadisce il ministro, sono «immediatamente applicabili». E non è il solo a pensarla così. Anche il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri pur apprezzando il lavoro delle commissioni avverte: «No a manovre dilatorie o tentativi di inganno, i tagli vanno fatti subito».

Pd e Pdl dunque hanno concordato di rivedere il parere, confermando il taglio immediato. Sul nuovo parere stanno lavorando l’ex ministro Pdl, Renato Brunetta e Gianclaudio Bressa del Pd. «Ribadiremo che il tetto si applica da subito a tutti ed è onnicomprensivo», spiega Brunetta, precisando che verranno indicate quali sono le criticità.

Un primo problema, secondo le commissioni, riguarda la platea interessata dal taglio: soltanto l’amministrazione statale. Dunque «una parte delle amministrazioni pubbliche» mentre rischiano di restare fuori tutti gli enti locali: Regioni, Province, Comuni e camere di commercio. Un’esclusione dalla quale deriverebbe «una disparità di trattamento tra soggetti chiamati a svolgere prestazioni simili, in assenza di una ragionevole giustificazione del trattamento differenziato». Brunetta dunque ipotizza si possa intervenire con un emendamento da inserire nel decreto semplificazioni, chiedendo alle Regioni di conformarsi alla nuova normativa.
Altro capitolo da riscrivere sarebbe quello che riguarda consulenze e cumulo di incarichi. La documentazione fornita dal governo alle commissioni riunite non terrebbe conto «di tutti gli emolumenti corrisposti a qualsiasi titolo, alle posizioni interessate e, in particolare, non sembra in alcun modo in grado di fare chiarezza sul tema del cumulo di più incarichi». Un esempio? Si può essere assessore in un Comune ma anche far parte del consiglio d’amministrazione di un’azienda municipale e dirigente nella stessa arrivando a cumulare guadagni stellari che però non sarebbero colpiti da questo provvedimento. Non solo.

Secondo le commissioni rischiano di salvarsi dal taglio tutti i componenti e i presidenti delle Authority indipendenti, come il Garante della privacy, e pure i dirigenti delle strutture sanitarie e universitarie perché non rientrano direttamente alle dipendenze della pubblica amministrazione.

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