La toga di Mani pulite è rimasta a mani vuote

Come inquisitore aveva tutta l'Italia ai suoi piedi Da politico ha sempre fatto flop. Tornerà alla terra?

La toga di Mani pulite è rimasta a mani vuote

Roma - L'abbraccio con Antonio Ingroia e la sua Rivoluzione civile è stato fatale ad Antonio Di Pietro. E dopo 15 anni in politica il leader dell'Italia dei valori (già dimezzata) esce dal Palazzo con un capitombolo fragoroso. Passa da 25 a 0 parlamentari, perchè il movimento dei magistrati non raggiunge il quorum: ben lontano dal 4 per cento alla Camera e dall'8 al Senato.
L'ultima scelta sbagliata, per Tonino già in caduta libera, quella di cercare una zattera di salvataggio in Rc. Una scelta che ora gli viene rimproverata da alcuni dei suoi, decisi ad ottenre le dimissioni da presidente del partito: «Hai voluto svenderci per qualche seggio in Parlamento».
Così, per Di Pietro non c'è che una strada. Quella, appunto, delle dimissioni «irrevocabili», che aprono ad una fase di gestione collegiale di una Idv ridotta ai minimi termini.
Ma il declino inarrestabile del piccolo leader di Montenero di Bisaccia è iniziato da tempo. L'ex pm di Mani Pulite, che nei primi anni Novanta sembrava avere l'Italia in mano ed era diventato il simbolo di un giustizialismo moralizzatore, da tempo cerca di destreggiarsi tra errori, scandali e defezioni. In autunno il partito si è sgretolato sotto i colpi delle accuse, rilanciate in tv da «Report», di essersi arricchito personalmente anche grazie alla politica. Se ne sono andati l'ex capogruppo alla Camera Massimo Donadi ed altri, lanciando strali acuminati.
E Tonino ha pensato di riciclarsi con gli ex colleghi pm Ingroia e Luigi De Magistris.
Mentre il vero leader di Rc lo teneva molto defilato e Matteo Renzi del Pd lo additava come simbolo del vecchio «che ritorna» in forme diverse, Di Pietro si lanciava nella sua campagna elettorale. Ripetendo slogan come: «L'unico voto utile, per cambiare strada». E inventandone altri come: «In parlamento meglio i magistrati che i delinquenti». A Milano, alla vigilia del voto, spiegava nel suo slang dipietrese, che 21 anni dopo Tangentopoli c'è bisogno come allora di crociate anticorruzione e di una «rivoluzione civile, prima che scoppi una rivolta nelle piazze».Per raccattare qualche voto ha poi predicato l'abolizione della riforma Fornero e ha aperto a matrimoni e adozioni delle coppie gay. Tutto inutile, anzi dannoso.
«Caro presidente- gli rimprovera ora Liana Barbati -, te l'avevo detto. Rc non era il nostro posto. Ora le dimissioni». La capogruppo dipietrista all'assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna, rileva che neppure l'Idv ha votato Rc. Per lei, «l'imbarazzante esito elettorale» dimostra « l'assurdità» dell'alleanza elettorale con Ingroia. Una scelta che ha rinnegato, dice, l' «identità del partito» solo per mantenere la presenza in parlamento. La Barbati, e non solo lei, vuole credere che l'Italia dei valori possa sopravvivere al leader che ne è stato protagonista assoluto. Meglio, allora, buttare a mare senza tanti complimenti lui e i fedelissimi colpevoli del «disastro» e andare ad un Congresso per cercare una nuova guida.
Formalmente, l'ufficio di presidenza dell'Idv chiede a Di Pietro di rimanere e avviare una nuova fase, al grido: «Rifondare, rinnovare e rilanciare». Ma la bocciatura degli elettori è talmente pesante da far dubitare che Tonino possa rialzarsi. E lui sembra deciso a buttare la spugna.
«Non l'ho sentito, ma un po' mi dispiace per l'esclusione di Di Pietro», commenta ironico Beppe Grillo, che risulta il maggior artefice della sconfitta di Rc.


Comunque, l'Idv annuncia che l'esecutivo nazionale si riunirà domenica 10 marzo e il piano è di avviare un confronto diretto con la base, con 3 incontri territoriali, al nord, al centro e al sud, entro il 30 aprile 2013.
Potrebbe comparire anche Di Pietro. O il suo fantasma.

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