La toga si ribella, no al processo: inutile per un debito di 50 euro

L'accusato ha pagato 10 euro di benzina invece di 60, le parti non hanno trovato l'accordo. E il giudice manda tutti a casa

Quando il giudice è sbottato, rifiutandosi di celebrare un'udienza per la sua inconsistenza, avvocati e cancelliere hanno fatto un balzo dalla sedia. Perché quando è troppo è troppo, anche per un magistrato onorario che di cose ne ha già viste nella sua carriera ma mai un disequilibrio così marcato che sulla bilancia tra benefici e costi fa spudoratamente pendere il piatto verso quest'ultimi. Un giudice, un cancelliere, un carabiniere e due avvocati, più le parti avverse in un tribunale riscaldato e in sicurezza per celebrare un processo per insolvenza fraudolenta per la modica cifra di 50 euro: un reato, tra l'altro, che non è procedibile d'ufficio e si estingue se le parti trovano un accordo. «Ci rendiamo conto che stiamo facendo un processo per un danno di appena 50 euro? - ha sottolineato il giudice esterrefatto, rivolto agli avvocati - . Invito le parti a concordare un risarcimento». E con tono deciso ha aggiunto: «Questo fatto non doveva neppure arrivare in tribunale». E invece casi simili varcano la soglia dei palazzi di giustizia quotidianamente, per un dispendio di tempo, energie e denaro pubblico, che sfiora i 500 euro ad udienza. Del resto il conto è presto fatto, basta sommare la retribuzione giornaliera di tutte le alte professionalità indispensabili per celebrare un processo: dal magistrato al rappresentante delle forze dell'ordine al cancelliere. Al loro costo va poi sommato quello inerente ai locali del tribunale: dal riscaldamento all'affitto, senza dimenticare un'eventuale risarcimento per la trasferta dei testimoni chiamati in aula. Ci sono poi i costi a carico dei privati, ossia la parcella degli avvocati che naturalmente cambia non solo a seconda del professionista ma anche dalla complessità e dalla lunghezza della causa. A far perdere le staffe al giudice cuneese è stato il caso di un uomo, fuggito dopo aver fatto rifornimento ad un impianto di benzina, pagando 10 euro invece che 60. La titolare dell'area di servizio, però, è riuscita ad annotare il numero di targa dell'auto e così, anche attraverso le immagini della videosorveglianaza, la questura è risalita al furbetto del pieno con l'auto-sconto.

Il giudice cuneese, nel suo accorato appello, ha anche sottolineato: «L'imputato non ha precedenti e in caso di condanna si macchierebbe la fedina penale per una sciocchezza». La pensa più o meno allo stesso modo il legale della benzinaia: «Saremmo ben lieti di trovare un accordo – ha detto l'avvocato Nicola Dottore –, nel momento in cui sia risarcito il danno. Non deve passare il principio che è possibile fare il pieno di carburante, scappare e passarla liscia, solo perché la cifra è irrisoria». Il fatto è accaduto il 5 settembre del 2012: ad un centesimo al giorno da allora l'imputato avrebbe già più che risarcito la benzinaia. «Quotidianamente riceviamo denunce per fatti di vita quotidiana che non dovrebbero andare davanti ad un tribunale – spiega Luigi Chilla, il vicecommissario che ha diretto l'indagine per identificare l'automobilista insolvente -. Noi cerchiamo sempre di fare da filtro e far intendere che a volte basterebbe un pizzico di buon senso». Come quella volta che una minorenne che aveva rubato 30 euro ad un uomo in coda ad uno sportello bancario ed ha scampato la querela grazie alla mediazione del vicecommissario che l'ha convinta a restituire il maltolto e a chiedere scusa al derubato, ben contento di chiudere quello spiacevole episodio nel migliore dei modi.

Basiti ma soddisfatti per l'azione vigorosa del giudice anticonformista, anche qualche avvocato: «Per svolgere una causa simile lo Stato spende almeno 10 volte la somma che è stata sottratta alla vittima – commenta il legale Mauro Mantelli – è ora che certi reati siano depenalizzati o puniti con una sanzione. E a dirla tutta anche noi avvocati, a volte, dovremmo darci una regolata...». E se lo dice lui, sarà vero.

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