Può capitare di candidarti e diventare sindaco con la bandiera della legalità, facendo ironia sulle comparse scafate di Gomorra che certamente voteranno il tuo sfidante (di centrodestra), e poi, dopo due anni di chiacchiere, essere scomunicato proprio dal vate dell'antimafia, Roberto Saviano, iniziale sponsor: «Luigi De Magistris sbaglia tutto, oscilla tra il romantico e il ridicolo, la sua amministrazione è fatta di nulla». L'epilogo catastrofico dei sindaci eletti a furor di popolo, viola o arancione, da Torino a Napoli, e poi tramutati in nemici del popolo, quando gli tocca governare e non più assecondare gli umori dei movimenti, mestiere più semplice. In piazza, a contestarli, gli stessi cortei, sindacati, no Tav, no discariche, no inceneritori, no privatizzazioni, antagonisti vari che li avevano eletti sindaci e simboli di una vera sinistra finalmente al potere. Poi però, quando si amministra, la musica cambia, e senza più l'accompagnamento della banda. Mentre Beppe Grillo marciava su Genova insieme ai tramvieri dell'azienda di trasporti genovese, in sciopero contro la privatizzazione decisa dal sindaco Marco Doria (anche lui di sinistra, area Sel), il suo primo sindaco Cinque stelle, Federico Pizzarotti, a Parma faceva di conto per rientrare dai buchi di bilancio. Lanciando, tra le altre cose, una gara pubblica per la privatizzazione del trasporto pubblico locale a Parma, anche se M5S fa la guerra alle privatizzazioni. «Ci siamo mossi affinché un privato potesse entrare nella società (...). Con ulteriori fondi economici sarà molto più semplice investire sulla Tep (Trasporti pubblici Parma, ndr) dice il sindaco grillino parlando da amministratore oculato, ma sconfessando il leader Grillo («I trasporti sono beni pubblici che non possono essere svenduti ai privati»). Risultato? I sindacati sul piede di guerra, gli appelli per il no alla privatizzazione del sindaco presunto anti privatizzazioni, il mondo al contrario.
Stesso dramma che sta provando, oltre al vendoliano Doria, che si è ritrovato a Genova i suoi stessi elettori inferociti, anche Piero Fassino, sindaco di Torino, eletto con una coalizione che comprende anche Sel. Che subito, sulla proposta di Fassino di portare dal 49% all'80% le quote della Gtt (azienda torinese dei trasporti) da vendere a privati, si sono messi di traverso («Ci opponiamo, gli accordi non erano questi»), insieme ai dipendenti della municipalizzata, difesi dai sindacati che hanno già annunciato scioperi («Vendere è un rischio» minaccia la Cgil, grande elettrice di Fassino). Ma Fassino, ex segretario Ds, ora che è sindaco e anche presidente dell'Anci parla col realismo di chi deve governare, scontentando il popolo del no a cui si strizza l'occhio quando servono voti: «Privatizzare alcuni servizi pubblici è giusto, i Comuni non possono gestire tutto».
Un tormento anche per Nichi Vendola, diviso tra la poetica rivoluzionaria e la gestione della Regione Puglia (che comporta anche rapporti, fin troppo cordiali per un ecologista come lui, con i fratelli Riva dell'Ilva di Taranto). «Privatizzare l'acqua è una bestemmia contro Dio!» disse in un momento di esaltazione nel 2009. Poi però anche lui ha fatto i conti e ha proposto la privatizzazione della Fiera del Levante («come valorizzazione») e un pensierino persino sulla privatizzazione dei servizi pubblici pugliesi («ma escludo l'acqua»), spiazzando i movimenti («Dalla Puglia ci aspettavamo le barricate») del suo territorio elettorale.
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