Uscire dall'impasse in Parlamento, prendere tempo, fare in modo che l'esito giudiziario del processo per i diritti tv venga rimesso in discussione prima che in Senato l'inedito fronte Pd-Cinque stelle proclami la sua decadenza dall'incarico. Questa strategia di Silvio Berlusconi e del suo staff legale ha preso corpo negli ultimi giorni di agosto, e si basa su un dato di fatto oggettivo: a differenza di quel che in genere si pensa, il verdetto della Cassazione non è più l'ultimo grado di giudizio possibile. La sentenza definitiva, in realtà definitiva non è affatto. La ricostruzione della vicende dei diritti tv, così come i cinque giudici presieduti da Antonio Esposito l'hanno messa nero su bianco nelle 208 pagine delle motivazioni depositate il 29 agosto, potrebbe non essere il punto d'approdo finale della inchiesta per frode fiscale a carico del Cavaliere. E tutta da giocare è anche la partita delle conseguenze - decadenza dal Senato, incandidabilità, interdizione dai pubblici uffici - della sentenza di condanna.
Un dato è certo: l'istanza di revisione del processo, resa possibile dai documenti giudiziari emersi in Svizzera e pubblicati l'altroieri dal Giornale, è fondamentale dal punto di vista dei contenuti, perché è l'unica mossa che permette a Berlusconi di continuare a rivendicare la sua innocenza e a battersi perché venga riconosciuta. Ma nella tattica di queste settimane non è sull'istanza di revisione che il Cavaliere intende puntare per trarsi d'impiccio: se non altro perché i tempi sono troppo lunghi. Prima che si riesca a raccogliere il materiale con le prove, a stendere il ricorso e a depositarlo, si arriverebbe a ridosso di Natale. Per allora, Berlusconi potrebbe essere già fuori dal Parlamento e agli arresti. Ed oltretutto è quasi impossibile che la richiesta di revisione del processo sospenda l'esecuzione della pena: il codice prevede questa possibilità, ma negli annali l'unico caso rilevante è quello di un imputato comunista. C'è poi un altro motivo per cui l'istanza di revisione non verrà presentata subito: più d'uno dei consiglieri giuridici del Cavaliere teme che la richiesta di un nuovo processo diventi un ostacolo insormontabile per la domanda di grazia che i parenti di Berlusconi intenderebbero presentare a Napolitano. Se la sentenza della Cassazione è destinata a venire rimessa in discussione, si teme, il Colle potrebbe considerare un intervento di clemenza quanto meno prematuro.
Così diventano fondamentali, nella prima parte di questa ultima battaglia, gli spunti che stanno permettendo a Berlusconi di mettere in discussione non tanto la sentenza della Cassazione ma il suo effetto più devastante, cioè l'esclusione dal Senato per effetto della legge Severino. Ad innescare l'attivismo del Cavaliere in questa direzione è stata la quantità inattesa di prese di posizione di giuristi a sostegno della linea che per primo aveva enunciato un luminare del diritto lontano dal Pdl come Giuseppe Guzzetta: la «Severino» non si può applicare a reati commessi prima che entrasse in vigore, perché nessuna sanzione può essere retroattiva. È stata la vastità e la trasversalità degli interventi su questa linea che ha convinto Berlusconi e i suoi a puntare con energia sul ricorso alla Corte europea per i diritti dell'uomo. Contando anche sul fatto che a valutare il ricorso sarà, in base allo statuto della Corte, il membro italiano: Guido Raimondi, fama di magistrato equilibrato e - a differenza del suo predecessore Vladimiro Zagrebelsky - lontano da militanze antiberlusconiane.
Nel ricorso a Strasburgo, Berlusconi si guarda bene dal rivendicare la propria innocenza dall'accusa di frode: sa che chiedere alla Corte di Strasburgo di trasformarsi in un quarto giudice sarebbe controproducente.
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