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Twitter, lo strizzacervelli che scova i depressi

Twitter, lo strizzacervelli che scova i depressi

Questi gli slogan ritriti: «Dimmi come vesti e ti dirò chi sei», «Dimmi come mangi e ti dirò chi sei», «Dimmi come dormi e ti dirò chi sei». Ed ecco quello di ultima generazione: «Dimmi cosa e a che ora chatti e ti dirò se sei depresso». Ormai dal web non si scampa e ora sarà questo lo strumento che scoprirà gioie e dolori dell'umanità. Almeno così pensano gli scienziati che, per esempio, sono convinti di scovare gli afflitti dal male oscuro sommando quattro dati cliccati su Twitter.
Ma analizzare il web va di gran moda anche tra gli studiosi della società. E alcuni di loro sono convinti che per la «sanità pubblica», il social in 140 caratteri sia un inestimabile termometro dei problemi psicologici della società. Non a caso, negli Usa, proprio l'istituto Nazionale della Sanità distribuisce fondi al Center for Statistics and the Social Sciences della University of Washington e alla University of California San Diego, per analizzare dati provenienti dai social network.
Il Microsoft Research Redmond invece, ha già sfornato i primi dati offerti dai suoi analisti che hanno scandagliato il vasto modo di Twitter (500 milioni di dati al giorno) per mettere a punto un sistema capace di riconoscere il pericolo di depressione tra i suoi utenti. Il lavoro svolto è stato certosino. Il team di ricercatori ha infatti scannerizzato più di 2 milioni di tweet e alla fine ha individuato 476 utenti, di cui 171 «gravemente depressi».
Ma come sono arrivati a questa conclusione senza aver parlato o analizzato la cartella clinica di ognuno di questi signori? Semplice, per individuare i sintomi della depressione hanno cercato parole chiave come «ansia, appetito, nausea, nervosismo, attacchi e sonno» accanto a termini molto meno sospetti e più generici come «casa, lui, lei, divertente, amore e tolleranza». Queste parole sono state incrociate con altri dati comuni a tutti quelli sospettati di soffrire di disturbi psicologici del tipo depressivo. Per esempio, il numero di tweet effettuati e l'ora del giorno a cui si inviano, il numero di interazioni e il tipo di linguaggio utilizzato. Chi è a rischio, secondo gli esperti, è attivo soprattutto di notte, fra le 9 di sera e le 6 del mattino.
Alla fine dello studio, comparando l'attività dei twitteri «sani» con quelli «malati» , i ricercatori hanno potuto sviluppare un modello affidabile al 70%. Dunque il margine d'errore, del 30%, non è trascurabile.
E anche il gruppo dei ricercatori ammette che non sempre è depresso chi twitta parole considerate sintomatiche, come «ansia», in orari sospetti (ad esempio alle 4 del mattino).
Meno male, perché questo significherebbe essere etichettato come depresso solo perché il sabato sera hai fatto le ore piccole e scrivi due righe a un amico, oppure soffri semplicemente di insonnia e ti diverti a chattare di notte quando non sai come passare il tempo. E poi, diciamocelo, quante volte utilizziamo il termine «depresso» a sproposito?
Le parole non sempre hanno il peso che vorrebbero gli analisti. Che si accaniscono pure con le espressioni del viso. I creatori di SimSensei, per esempio, utilizzano il Kinect di Microsoft per diagnosticare utenti potenzialmente depressi per mezzo di una psicologa digitale.
In pratica, con una webcam e un sensore fanno una raffica di domande all'utente per poi misurare i cambiamenti del viso e tradurre il linguaggio del corpo. SimSensei “legge” le espressioni facciali ed è in grado di diagnosticare eventuali sintomi della depressione.

Funziona? Secondo gli inventori, almeno la metà delle sessanta persone intervistate ha mostrato sintomi di depressione gravi. Mah!

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