Sul principio tutti d'accordo e non da ora. Sono anni che politici e ministri ripetono il mantra: l'evasione emersa, le tasse non pagate e poi recuperate devono servire a ridurre la pressione fiscale. Perché così si premiano i contribuenti onesti e si incentivano comportamenti virtuosi. Purtroppo, come spesso succede, dalla teoria alla pratica le cose si complicano. Nel caso specifico, i vari fondi per la riduzione delle imposte annunciati negli anni sono rimasti a secco e la riduzione della pressione fiscale sul lavoro è aumentata indisturbata.
Ultimo caso, quello del rientro dei capitali. Il premier Enrico Letta, sicuramente con un eccesso di enfasi, aveva annunciato che le risorse della voluntary disclosure (così si chiama il mini scudo fiscale) approvato venerdì sarebbero andate alla riduzione del cuneo fiscale. E tutti avevano pensato a una iniezione di risorse sulla riduzione fiscale più attesa. Ma poi le precisazioni del ministro Fabrizio Saccomanni hanno raffreddato gli entusiasmi. Il grosso delle risorse andranno a spese in conto capitale. Quindi investimenti. Oppure alla riduzione del debito e alla restituzione dei debiti della Pa in conto capitale. Dove «il grosso» delle risorse significa tutto quello che lo Stato incasserà nel momento in cui i soldi rientreranno in patria. Alla riduzione del cuneo andranno le risorse aggiuntive che deriveranno dalla tassazione dei capitali rimpatriati negli anni successivi. Inutile dire che tra le due poste non c'è confronto. Le vere risorse arriveranno con il rientro, il resto è residuale.
Il ministro dell'Economia ha indicato delle destinazioni precise per i proventi dello scudo: «Per coprire spese in conto capitale, come il rimborso dei debiti della Pa o l'allentamento del patto di stabilità per gli investimenti». Obiettivi non casuali, che sembrano dettati dall'Europa. Bruxelles, non da oggi, non vuole che l'Italia prometta tagli delle tasse perché la precedenza deve andare alla messa in sicurezza delle finanze pubbliche e alla riduzione del debito. Gli obiettivi descritti da Saccomanni vanno in questa direzione. In particolare, se si utilizzassero i soldi del rientro per pagare i debiti della Pa in conto capitale, si alleggerirebbe un pezzo di spesa già messa a bilancio che è destinata a pesare sul deficit. Le spese per gli investimenti, poi, sono i cofinanziamenti dei progetti europei. In sostanza, l'impressione è che l'Ue si sia messa di traverso frenando le ambizioni sviluppiste del governo Letta. In modo, questa volta, discreto e senza creare clamori.
Difficile fare conti. Non esistono cifre ufficiali e anche quelle ufficiose sono diverse e contraddittorie. Si parla di 50 miliardi rientrati (su circa 200) come obiettivo realistico. La misura più simile a quella varata dal governo, lo scudo fiscale di Berlusconi e Tremonti, portò 3,7 miliardi. Questa versione potrebbe portare 2,5 miliardi. Ripetono al ministero dell'Economia e anche da Palazzo Chigi: il rientro dei capitali sono misure una tantum e non possono essere utilizzate per ridurre le tasse. Ma è anche vero che questo è il governo che non si è fatto scrupoli a varare delle vere e proprie tasse una tantum, come la quota statale di Tares e poi la mini Imu.
Quando di è trattato di stangare, una tantum, le case degli italiani a nessuno è venuto in mente di cercare coperture creative, come può essere un rientro dei capitali. Per farci stare dentro limiti europei, che i nostri cugini francesi ignorano allegramente, invece sì.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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