
«Io sono apolitico»: così Manfredi Catella risponde, quando a cerimonia conclusa gli chiedono di posare per una foto con Matteo Salvini: e via, si infila sulla Mercedes che lo aspetta dietro il palco. Forse aveva fretta. O forse non aveva tanta voglia di sorridere accanto al ministro e vicepremier, che pochi minuti prima aveva menato come un fabbro su quello che accadrà dopo le Olimpiadi, quando allo Scalo Romana arriveranno gli studenti del pensionato a prezzo convenzionato. Perché, dice Salvini, «per molti 850 euro al mese sono sempre 850. Il Comune doveva essere più coraggioso e incisivo nella trattativa col privato»: cioè con lui, Catella, che sul costo dei posti per studenti si scontrò a lungo con i suoi amici in giunta, il sindaco Sala e l'assessore Tancredi, come raccontato dalle intercettazioni. Alla fine, sostiene Salvini, ha vinto lui.
Già, le intercettazioni. Perché inevitabilmente su tutta la bella cerimonia, sugli ospiti, sul buffet, sugli acrobati, sul Villaggio finito e tirato a lustro («in anticipo sui temi, e trenta mesi fa qui non c'era nulla!») incombe l'altra faccenda, l'indagine dell'Urbanistica, l'arresto di Catella poi annullato dal Riesame che accusa la procura di strafalcioni investigativi, «nessuna prova di corruzione». Adesso il meteo giudiziario volge al bello, ma intanto quella accusa, con i pm che lo marchiano come il capo della Cupola che governerebbe Milano, lo ha colpito e ferito. Chi lo conosce, dice che il colpimento e il ferimento sono però i sentimenti secondari. Il principale è la rabbia, la reazione da maschio alfa azzannato ai polpacci, che sta condensando in un libro già in fase avanzata («Ci sta lavorando», dicono dallo staff).
Così era inevitabile venire all'inaugurazione del Villaggio non per ammirare i 1.175 bagni ecosostenibili installati a tempo di record nelle stanze degli atleti e poi degli studenti: ma per tenere d'occhio lui, Manfredi, alla sua prima uscita pubblica dopo la tempesta, andando a caccia delle tracce che l'impatto con i modi bruschi della giustizia, a partire dai minuti in cui venne trascinato giù dall'aereo in partenza per Londra, deve per forza avere lasciato. E invece no. Doppiopetto gessato blu, sorriso accogliente e guascone, svolge fino in fondo la sua parte di padrone di casa arrivato all'ultimo giorno di regno. Da oggi il Villaggio passa fino a marzo nelle mani delle Olimpiadi. Ma finora era roba sua, di Coima e dei fondi che lo hanno sostenuto dall'inizio, le grandi banche come anche i fondi dei commercialisti. Il Villaggio è finito. Lui si muove con l'aria di chi ha vinto, e usa parole importanti: sul taccuino del cronista è un fiorire di «orgoglio», «impegno», «passione», «energia». Peccato che ad ascoltarlo non ci siano (e Salvini crudelmente lo rimarca) due grandi sponsor della avventura olimpica, il presidente della Regione Attilio Fontana, impegnato in appuntamenti a Varese, e neanche il sindaco Sala, che ha fatto after in consiglio comunale. Ma in fondo è meglio così, perché chissà in Procura cosa avrebbero detto della foto di Catella e Sala a braccetto dal vivo oltre che nelle chat.
Ma lui, Catella, non si fa rovinare la festa né dalle chat né dalle assenze. Snello, elastico. Si siede accanto a monsignor De Scalzi, arrivato a benedire il Villaggio, ed è un fitto fitto di cui spesso Catella nasconde il labiale. Anche il linguaggio del corpo dice poco: forse una certa insistenza a lisciarsi i capelli tradisce una inquietudine residua, e quando parla Salvini anche le mani - che afferrano le ginocchia fino a imbiancare le nocche - raccontano che (se il galateo lo consentisse) gli piacerebbe rispondere duro quando il ministro dice che coi prezzi dello Scalo Romana «Milano diventa una città per ricchi, altro che mix sociale».
Ma perché guastare la festa? Alla fine l'immagine che resta impressa è Catella con occhi innamorati che filma dall'inizio alla fine il discorso di sua moglie Kelly. Quella, e l'altra di lui che salta in auto schivando i cronisti imploranti: «Dottore, a che punto è il libro?».