La festa di Santa Lucia, celebrata il 13 dicembre, è uno degli appuntamenti più antichi e radicati nel calendario popolare italiano ed europeo. Prima della riforma gregoriana del 1582, quella data coincideva con il solstizio d’inverno, il giorno più corto dell’anno: non sorprende che attorno a questa ricorrenza si siano stratificate tradizioni legate alla luce, al fuoco e soprattutto al cibo, simbolo di rinascita in una stagione dominata dal buio.
Le tradizioni culinarie della festa di Santa Lucia sono infatti un mosaico affascinante che unisce Sicilia, Veneto, Lombardia, Trentino e perfino Svezia, con ricette che variano da piatti poverissimi a dolci simbolici. Il cuore della tradizione gastronomica italiana è legato a Siracusa, città natale della Santa. Qui, nel 1646, una terribile carestia minacciava di ridurre allo stremo la popolazione. Le cronache dell’epoca raccontano che proprio il 13 dicembre arrivò in porto una nave carica di grano, considerata un miracolo per intercessione della Santa. La gente, affamata, non perse tempo a macinare il cereale per farne farina: lo bollì così com’era. Da quell’episodio nasce la cuccìa, un piatto antichissimo che richiama riti mediterranei del grano bollito. Oggi la cuccìa esiste in diverse varianti: quella dolce con crema di ricotta e cioccolato, la versione con crema di latte e cannella, e una rarissima forma salata a base di legumi, più vicina alla tradizione contadina.
In Sicilia, il 13 dicembre non si mangiano pane e pasta, in ricordo della carestia: è una delle osservanze rituali più rispettate. A questa si affianca un’altra tradizione moderna ma diffusissima, soprattutto a Palermo: quella delle arancine di Santa Lucia. Non potendo mangiare pasta, la popolazione ha trasformato il 13 dicembre in una sorta di “giornata nazionale dell’arancina”. Le friggitorie producono quantità colossali di arancine al ragù, al burro, agli spinaci e in decine di varianti contemporanee. È un fenomeno gastronomico e culturale che testimonia quanto la ricorrenza sia diventata identitaria.
Passando al Nord Italia, la figura di Santa Lucia assume un volto diverso: qui è soprattutto la Santa che porta i doni ai bambini. Verona, Brescia, Bergamo, Cremona e molte zone trentine vivono la vigilia come una piccola notte magica, con cioccolatini, frutta secca, dolci tipici e la messa in scena della Santa a cavallo. Anche la cucina riflette questa dimensione domestica e infantile. A Verona si preparano i celebri biscotti di pasta frolla di Santa Lucia, a forma di stelline, cavallini o occhiali, simbolo della protettrice della vista. Sono dolci semplici, venduti nei mercatini storici della città. Nel Bresciano e nel Mantovano compaiono invece le pàttole e le tortèle, piccole frittelle che un tempo si preparavano nei casolari per scaldare la notte più buia dell’anno. Ancora più suggestivi sono i lusèi piccoli panini dolci a forma di uccellino diffusi tra Bergamo e Cremona. L’uccello, nella simbologia medievale, rappresenta la luce che ritorna e l’anima che si eleva: un’immagine perfetta per un giorno che celebra la fine del buio e l’arrivo della luce.
La tradizione più sorprendente fuori d’Italia è però quella della Svezia, dove Santa Lucia è diventata una festa nazionale che segna simbolicamente l’inizio del periodo natalizio.
Qui la gastronomia si esprime nei lussekatter, panini dolci allo zafferano dalla forma sinuosa, decorati con due uvette che simboleggiano gli occhi del “gatto di Lucia”. L’uso dello zafferano, ingrediente prezioso e dal colore giallo oro, è un richiamo evidente alla luce che ritorna. I lussekatter compaiono nei documenti svedesi almeno dal XVII secolo e vengono serviti durante la processione della Santa, in cui una ragazza vestita di bianco porta una corona di candele vere sul capo.
Accanto a questi dolci si consumano i pepparkakor, biscotti speziati allo zenzero, cannella e chiodi di garofano, che contribuiscono all’atmosfera invernale. Nonostante le differenze regionali, le tradizioni culinarie di Santa Lucia condividono alcuni simboli fondamentali. Il più evidente è il grano, segno di vita, rinascita e prosperità: dalla cuccìa siracusana ai pani rituali nordici, è sempre presente come ponte tra inverno e primavera. Altro simbolo potente è il colore della luce, lo stesso dell’oro e dello zafferano, che ritorna nella crema dolce delle cuccìe, nei biscotti, nei pani scandinavi. Inoltre, in diverse tradizioni ricorre un elemento infantile: non a caso molti dei cibi della Santa sono dolci, semplici, consolatori, pensati per essere doni o premi per i bambini che aspettano svegli.
Oggi le tavole di Santa Lucia sono un mix di fedeltà alla tradizione e creatività moderna. In Sicilia la cuccìa viene reinterpretata come gelato o cheesecake; le arancine diventano gourmet; i biscotti veronesi assumono forme contemporanee; i lussekatter si diffondono in tutta Europa grazie alle comunità scandinave. Eppure, nonostante queste evoluzioni, il significato profondo rimane lo stesso da secoli: illuminare il buio con il calore del cibo, celebrare la speranza invernale, ricordare che la luce ritorna sempre.
La festa di Santa Lucia, con il suo intreccio di storia, religione, folclore e gastronomia, è un esempio raro di come il cibo possa diventare memoria collettiva.
Che si celebri con una cuccìa siracusana, una arancina palermitana, un biscotto veronese o un lussekatt svedese, ogni piatto racconta la stessa storia: la vittoria simbolica della luce sul buio, e il modo in cui le comunità hanno trasformato il cibo in un rito che unisce generazioni, territori e culture lontanissime tra loro.