Non c'è prova che sia stato picchiato in caserma, e se ha ricevuto dei colpi non sono stati quei colpi a causare il suo decesso: che fu invece figlio dello stress e dell'intossicazione da alcool. Nell'elenco ormai non breve di indagini su cittadini morti dopo essere stati arrestati dalle forze dell'ordine, il caso di Giuseppe Uva occupa un posto a parte: perché, a differenza delle storie di Federico Aldrovandi a Ferrara o di Michele Ferrulli a Milano, la magistratura qui era stata accusata di avere coperto le responsabilità dei poliziotti e dei carabinieri sotto accusa. Ma ieri interviene un fatto inatteso: nel processo a carico di otto agenti, anche il nuovo procuratore di Varese, che aveva avocato le indagini per rimediare alla presunta inerzia del primo pm, chiede l'assoluzione per tutti gli imputati. Assoluzione con formula piena dalle accuse di arresto illegale e di abbandono di incapace, «perché il fatto non sussiste»; assoluzione soprattutto dalla accusa di omicidio preterintenzionale. Se il prossimo 30 giugno il giudice farà propria la linea della Procura, i carabinieri finiranno sotto processo solo per abuso di potere. Il caso, insomma, si sgonfia. E il senatore del Pd Luigi Manconi, che della lotta agli abusi delle forze dell'ordine ha fatto un cavallo di battaglia e aveva cercato di costituirsi parte civile contro gli imputati, viene escluso dal processo.
Era il mattino del 14 giugno 2008 quando Giuseppe Uva, operaio, 43 anni, morì nel reparto di psichiatria dell'ospedale di Varese, dove era stato portato alle cinque del mattino dopo un fermo di polizia. Fermo movimentato, reso difficile anche dall'agitarsi scomposto di Uva: un brav'uomo, con problemi robusti di dipendenza dalla bottiglia. Su cosa sia accaduto nelle tre ore in cui l'uomo era rimasto in caserma, le versioni divergono. Per i poliziotti, nulla se non l'agitarsi di Uva, che arriva a compiere atti di autolesionismo fino a andare in crisi. I familiari, anche sulla base di alcuni segni che appaiono nelle foto del cadavere - assai meno crude di quelle di altri casi analoghi - ipotizzano un pestaggio. Intorno alla vicenda, parte una campagna mediatica in cui, un po' per volta, il pestaggio da ipotesi diventa certezza acquisita, dato di fatto. I carabinieri, chissà perché, avrebbero picchiato Uva fino a causarne la morte.
A condurre l'inchiesta è Agostino Abate, vecchio mastino della Procura varesina, lo stesso cui vent'anni fa, quando scavava sulle tangenti alla Lega, Umberto Bossi disse «ti raddrizzo la gobba a bastonate». Abate non trova traccia di colpe delle forze dell'ordine: se qualcuno ha sbagliato, dice, è il medico che in ospedale somministrò un farmaco a Uva. Ma il sanitario viene prosciolto, e il giudice nella sentenza se la prende con Abate, che non avrebbe indagato a sufficienza sulle colpe degli apparati dello Stato. Il giudice ordina a Abate di chiedere il rinvio a giudizio di due carabinieri e sei poliziotti. A quel punto contro il pm parte il tiro incrociato dei familiari delle vittime, del senatore Manconi, di mezzo mondo di Internet che lo accusa di avere indagato a senso unico. Va a finire che anche il procuratore generale della Cassazione apre un procedimento disciplinare conto il pm varesino, accusandolo di essere «venuto meno agli obblighi di imparzialità e correttezza». Il fascicolo sulla morte di Uva viene tolto ad Abate e preso direttamente in mano dal nuovo procuratore Felice Isnardi. Per i sostenitori della tesi dell'omicidio, sembra l'annuncio di una vittoria. Nel marzo scorso, una supertestimone anonima intervistata da «Chi l'ha visto» racconta di avere visto Uva e gli agenti in ospedale: «Lui li chiamava bastardi, loro hanno detto di smetterla altrimenti gli avrebbero fatto una menata di botte». Quando uscirono da una stanza, il fermato aveva una escoriazione al naso.
Invece ieri il procuratore Isnardi, dopo essersi letto e riletto le carte dell'inchiesta, presenta una richiesta che riabilita le indagini del suo collega Abate, tornando a chiedere l'assoluzione degli imputati. La morte di Uva fu una tragedia, come ogni volta che un essere umano entra vivo in una caserma e ne esce morto. Ma non fu un delitto.
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