Valanga sugli alpinisti in tenda 13 morti, c'è anche un italiano

È morto come altri dodici compagni d'avventura mentre dormiva. Sulle cime dell'ottavo monte del mondo, sull'Himalaya. È successo sabato notte, poco prima dell'alba, vicino alla vetta del Manaslu, al «campo 3», base del monte di 8.163 metri.
Colpa di una valanga, anzi per la precisione di un seracco di ghiaccio precipitato sul pendio nevoso. La maggior parte delle vittime sono francesi (quattro corpi recuperati, tre i dispersi), una quindicina i sopravvissuti, tra loro due italiani, il terzo, Alberto Magliano, 66 anni, il «prof» non ce l'ha fatta. Non era un professionista ma un grande esperto di montagna, Magliano. Sull'Himalaya aveva impresso le sue piccozze più di una volta, stavolta non ha sbagliato nulla, solo la tragica fatalità lo ha ucciso. La tenda nella quale dormiva con lo sherpa a circa settemila metri di quota è stata letteralmente spazzata via e schiacciata dalla massa di neve e ghiaccio. Lo hanno ritrovato la mattina, ormai troppo tardi.
Tra le vittime figurano anche uno spagnolo, un nepalese e un tedesco.
Gli esperti ora si chiedono perché. Agostino Da Polenza, presidente del progetto EvK2-Cnr, esclude che una valanga di tale portata possa essere stata causata da anomalie climatiche in questa stagione.
Tuttavia Mondinelli appena qualche giorno fa aveva scritto dal «campo 1» del Manaslu: «C'è poca neve, è molto strano per l'autunno in Himalaya: di solito dopo il monsone le montagne sono imbiancate. Quest'anno no. E fa un caldo pazzesco, ieri lo zero termico era dato a 6000 metri».
Marco Confortola, alpinista italiano che si trovava al campo base della spedizione, assicura però che il «campo 3» fosse un luogo sicuro.
Nel frattempo è scattata l'operazione di salvataggio. Alcuni alpinisti sono stati recuperati nel giro di poche ore e portati a Kathmandu con elicotteri, ma almeno 8 feriti sono rimasti bloccati sulla montagna perché gli elicotteri si erano dovuti fermare a causa dell'improvviso peggioramento delle condizioni climatiche. La Farnesina, attraverso il Consolato a Kathmandu, si è immediatamente attivata e segue la vicenda, in contatto con il personale preposto ai soccorsi e con le autorità di polizia locali.
Manaslu, una delle vette più alte del mondo, è anche considerata una delle più pericolose, costata la vita a decine di alpinisti e «conquistata» da poche centinaia.
«Mi sono sempre considerato un conquistatore dell'inutile», diceva ricordando le sue imprese Alberto Magliano. «L'alpinismo - scriveva ancora - diventa una straordinaria attività di vita, molto più di uno sport, ma nulla a che vedere con un lavoro: un modo di vivere, forse addirittura una visione del mondo».
A ricordalo anche Reinhold Messner. «Era un bravo alpinista, con una certa età e tanta esperienza, non era il tipo da fare sciocchezze, basta però trovarsi nel momento sbagliato nel posto sbagliato per perdere la vita», ammette lo scalatore del «mondo». «Questa via è pericolosa, non è ripida e la neve si ammucchia scendendo in grandi masse - aggiunge il primo alpinista ad aver scalato tutte le 14 cime sopra gli 8000 metri -. Nel 1972 ho fatto il Manaslu ma dal versante opposto, anche in quell'occasione, quarant'anni fa, su questa via della disgrazia incontrai un gruppo di coreani, e anche in quel caso ci fu una disgrazia con diverse vittime.

La situazione era la stessa, una valanga dopo una lunga nevicata: in questo periodo, dopo i monsoni, c'è sempre molta neve su queste montagne. Solo che una volta ci andava poca gente e oggi molta di più, quindi aumenta anche il numero delle vittime».

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