Cronache

Il Veneto in rivolta ignorato da 17 anni: +11% di disoccupati

Nel '97 il blitz in piazza San Marco, oggi rispunta il "tanko". Intanto il Pil è sceso a -1,6% e un giovane su quattro è rimasto senza lavoro

Il Veneto in rivolta ignorato da 17 anni: +11% di disoccupati

Da un trattore camuffato da carro armato a un carro armato che, sotto sotto, resta un trattore. Da un'arrampicata sulla cima del Campanile di San Marco al progetto di cannoneggiare la statua di Garibaldi nell'ambito di «un'eclatante prova di forza» sempre e naturalmente a Venezia. Dal Veneto dei Serenissimi e folcloristici insurrezionalisti, di quel 9 maggio del 1997, al Veneto dei nuovi Serenissimi ma sempre folcoristici, catturati avant'ieri all'alba dai carabinieri dei Ros prima che potessero muovere all'assalto dell'Italia. Sono passati 17 anni e che cos'è cambiato? Tutto e niente in questo Veneto che continua a covare rabbia, ostenta disillusione, odia Roma e non solo Roma e, soprattutto, continua rigorosamente a parlare solo in dialetto. Questo è il niente che è cambiato in diciassette anni. Poi, ne stiamo prendendo le misure dall'altro giorno, quando è scattato il blitz dei carabinieri a Casale di Scodosia, c'è invece quel tutto che è cambiato profondamente. Quell'economia delle piccole e medie imprese artigiane che è colata a picco. Come è colata a picco qui, in quello che una volta, ai tempi della prima «rivoluzione veneta» era ancora il «Paese dei mobili in stile e dell'antiquariato». Poi più nulla, sempre più giù, verso un baratro di indifferenza e di fallimenti che ha bloccato la produzione e l'export. «Con quelli di Roma, sbottano qui a al Bar Al Duca di Casale, che stanno solo a guardare. E sbagliano perché il voto di scambio c'è sempre stato e, quando c'era la grande Balena Bianca, la Dc, qui i voti li prendeva e li pretendeva ma almeno ci ringraziava con aiuti e concreti e sostegni alla nostra economia e alle nostre idee, non ci bastonava soltanto con le tasse. Ecco perché anche i bravi ragazzi come il nostro Flavio Contin alla fine, diciamolo, hanno tutte le ragioni a progettare la rivoluzione».
I numeri, d'altra parte, parlano meglio delle parole e vanno ben oltre i confini di questo piccolo centro incuneato tra Verona, Rovigo e Padova e punteggiato dai giallo abbagliante della colza in fiore che, in qualche modo, prova a rasserenare gli animi. A fornirceli è la Cgia di Mestre. Cominciamo dalla nota più dolente: i disoccupati. Nel 1997 erano 127.155 oggi, secondo le stime a conclusione del 2013, siamo passati a 170.860. Il tasso di disoccupazione è cresciuto dal 6,4% di 17 anni fa al 7,6% di oggi. Ma è il tasso di disoccupazione giovanile (tradizionale serbatoio dell'insofferenza, della rabbia e della voglia di insurrezione in Veneto) il dato che impressiona di più. Dal 14,1% del 1997 si è passati al 25,3%. Quanto ai consumi si sono contratti non poco dato che allora segnavano un positivo 2,9 e oggi portano il segno meno davanti al 2,3%. Strettamente correlati gli investimenti reali che già allora segnavo un meno 1,3 per cento e oggi sono precipitati a meno 5,2 per cento. Il pil regionale da più 2,4% che era oggi si ritrova a meno 1,6. Mentre l'export del Veneto che esportava alla grande (e Casale di Scodosia ne era un illuminante esempio) è sceso dal 3,5% al 2,3. Risultato? «Rispetto a 17 anni fa - commenta puntualmente Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre - la situazione economica del Veneto è completamente cambiata. Tuttavia, alcuni nodi irrisolti di allora non sono ancora stati affrontati. Mi riferisco, ad esempio, alla richiesta di una maggiore autonomia avanzata dagli enti locali che, dopo quasi 20 anni, è rimasta inascoltata.
Il Veneto, infatti, è l'unica regione italiana a statuto ordinario ad essere schiacciata tra due realtà a statuto speciale. Ogni anno questo territorio dà in solidarietà al resto del Paese 18,5 miliardi di euro. Di fronte ad una pressione fiscale che l'anno scorso ha sfiorato il 44%. E se i veneti potessero trattenere almeno la metà di questo residuo potrebbero colmare il pesantissimo gap infrastrutturale che scontano con il resto del Paese. La crisi, purtroppo, ha colpito soprattutto le micro imprese che, per loro natura, non possono contare su nessun tipo di paracadute sociale. L'assenza di misure di sostegno al reddito ha spinto molti piccoli imprenditori verso l'orlo del baratro. Non è un caso che dall'inizio della crisi ad oggi la nostra Regione abbia registrato il più elevato numero di suicidi tra gli imprenditori.

Un segnale inequivocabile dello stato di difficoltà in cui versa ancora oggi la nostra economia».

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