«Il giorno dopo che avrò lasciato il Senato le procure di mezza Italia si scateneranno». Berlusconi di dubbi ne ha ben pochi. E quando parla al telefono con parlamentari e amici di lungo corso guarda oltre il dibattito sulla grazia che ha seguito l'intervento di Napolitano. Il Cavaliere pubblicamente ha deciso di non esporsi e fino a oggi ha tenuto fede alla linea della discrezione consigliata da Letta. In privato, però, non nasconde le sue perplessità per una soluzione - quella in qualche modo prospettata dal Quirinale - che non risolve le due questioni chiave: il voto sulla decadenza da parlamentare (in programma il 9 settembre nella Giunta per le elezioni) e l'applicazione della pena (con l'ex premier che entro il 15 ottobre deve scegliere tra affido ai servizi sociali e arresti domiciliari).
Ecco perché chi ha occasione di sentire Berlusconi per gli auguri di Ferragosto lo trova non propriamente di ottimo umore, convinto che l'unica strada sia quella di trovare «una soluzione politica di cui tutti devono farsi carico». Non solo il Colle, dunque, ma anche il Pd. Un concetto che il leader del Pdl ha ripetuto anche ieri ad Arcore, durante un lungo incontro pomeridiano con gli avvocati Ghedini e Coppi.
Se per alcuni versi, infatti, è vero che il nodo dell'esecuzione della pena ha un risvolto più umano visto che il Cavaliere considera un'ingiusta violenza sia i servizi sociali che i domiciliari, il punto centrale resta quello della decadenza. La perdita dello status di senatore, infatti, farebbe venire meno l'immunità parlamentare. E - ragiona Berlusconi con i suoi - questo significherebbe che qualunque pm potrebbe aprire la più improbabile delle inchieste solo per qualche giorno di celebrità.
Senza contare, aggiunge l'ex premier, che a quel punto le procure «avrebbero gioco facile nel portare a termine quella persecuzione giudiziaria che dura da vent'anni».
Così, è sul nodo decadenza che si sta lavorando in queste ore. La Giunta per le elezioni del Senato è convocata per il 9 settembre, quando la relazione sul caso affidata al pdl Augello dovrebbe essere bocciata. A quel punto inizierebbe una procedura di contestazione che dovrebbe allungare i tempi fino a novembre, vera dead line per una soluzione «politica» visto che il voto di Sel, M5S e Pd contro Berlusconi è dato per scontato.
E un'ipotesi a cui si guarda con un certo interesse ad Arcore è quella del lodo Sallusti. La commutazione della pena a pecuniaria, infatti, risolverebbe la questione della detenzione e, secondo alcune interpretazioni, anche quella della decadenza perché a quel punto la Severino non sarebbe applicabile. Senza contare che si affievolirebbe molto l'argomento di chi sostiene che una clemenza equivarrebbe a mandare il messaggio che gli evasori non pagano visto che la pena, seppur pecuniaria, sarebbe comunque erogata ed espiata. Anche se su questo fronte ogni decisione è nelle mani di Napolitano.
Un capo dello Stato che in questi ultimi giorni sta incontrando le perplessità di molti esponenti del Pdl. Non solo i cosiddetti falchi, che non farebbe notizia, ma pure di molte colombe. Chi si aspettava decisamente di più dal Colle è Schifani. Il capogruppo del Pdl al Senato si è guardato bene dal commentare solo per bon ton istituzionale, ma è evidente che nelle parole di Napolitano vede più ombre che luci. Non entra invece nel merito Quagliariello che però lancia un segnale forte. L'uscita del Colle, dice il ministro per le Riforme auspicando la «fine del conflitto istituzionale», «non basta a blindare l'esecutivo». Un modo per invitare anche il Pd a farsi carico del problema. «Ora tocca a tutti gli attori politici e istituzionali evitare ferite irrimediabili», spiega Capezzone.
Poca fiducia nel Colle sembra averla Minzolini: «Più passano le ore e più si arguisce che la dichiarazione di Napolitano è una fotografia in belle parole della situazione: non toglie e non dà. Non un gesto, non una soluzione».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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