Annuncio a bruciapelo, ovviamente via Twitter: «Il nuovo disco di Gianna Nannini è bellissimo, ho scelto la sua canzone Inno e da domani accompagnerà il Pd». Firmato nientemeno che Pier Luigi Bersani, ormai anche critico musicale. Risposta a stretto giro della Nannini: «Complimenti per la scelta. È il pezzo più bello che ho scritto negli ultimi venti anni». Nota per il lettore: il disco (in effetti bello) è fresco di stampa perché è stato pubblicato martedì e affronta la rituale sfida della classifica di vendita. Insomma ieri è andato in scena il primo endorsement al contrario. Finora erano i cantanti a sponsorizzare i politici, con annunci e partecipazioni, magari sfruttando la convenienza del momento. Ora, pare, il contrario: e questa è comunque la prima volta di un politico testimonial di un disco in promozione. Oltre alle radio e al passaparola del pubblico, ad aiutare lo sbarco in classifica del disco saranno anche i comizi, le convention, gli incontri della campagna elettorale del Pd. Niente male, un product placement da far invidia a Hollywood. Però c'è un però. Anzi due.
Il primo è che di solito una canzone che «sale» in politica ha una storia e una percezione diffusa, popolare o elitaria ma comunque consolidata. Così è stato sin da quando, contestatissimo dall'autore, Craxi utilizzò Viva l'Italia di Francesco de Gregori per una campagna elettorale. E idem per La canzone popolare di Fossati (1996), per Il cielo è semprepiù blu di Rino Gaetano (2006) o Mi fido di te di Lorenzo Jovanotti (2008). Chiunque le conosceva, molti potevano riconoscersi nelle parole o nella musica. Ora è un po' difficile. Inno, (che, come dice la Nannini è un «incoraggiamento alla rinascita») non è uno slogan. Non ancora almeno. Tra tutte le canzoni di musica leggera italiana che storicamente, e persino statisticamente, sono considerate di sinistra, Bersani ne ha scelta una che non ha un dna politico e sociale preciso. Non è un bel segnale per il potenziale elettore. Comunque. Per di più (e questo è il secondo appunto) Gianna Nannini, che è una delle prime donne del rock mondiale, è sempre stata uno spirito anarchico, talvolta controcorrente specialmente nei confronti della sinistra e, in ogni caso, nell'immaginario collettivo più vicina alle posizioni di Vendola che a quelle di Rosy Bindi.
A proposito, chissà come la madre badessa del Pd prenderà l'idea di iniziare i suoi comizi dopo la canzone di un'artista che da decenni dice «no al matrimonio in generale: è un inganno istituzionale. Evviva l'amore di chiunque con chi vuole». A torto o a ragione, nella sua storia la Nannini ha avuto posizioni non proprio in linea con il Vaticano. Ma ora il suo brano diventa il leit motiv della campagna elettorale di un politico che si ispira (ipsedixit) a Papa Giovanni XXIII. Oltretutto, giusto pochi giorni fa a Vanity Fair, proprio la Nannini ha detto: «Non sarebbe una cattiva idea candidarmi in politica. Se lo facessi non sarebbe certo all'interno dello schema tradizionale destra-sinistra che ci ha già dato troppi anni di governi-troiaio». Alcuni di quei governi sono stati formati e presieduti da politici che adesso alzeranno il volume della sua canzone. È, a modo suo, un miracolo anche questo.
Di certo, molti non se lo aspettavano proprio. Difatti un'ora dopo l'annuncio dell'endorsement al contrario, il direttore del quotidiano Europa, Stefano Menichini, ha detto papale papale: «A me l'Inno che Bersani ha scelto non piace». E le resistenze non finiranno qui. Però la statistica aiuta: quasi tutti i cantanti italiani che hanno concesso la propria canzone alla sinistra se ne sono poi pentiti. Fossati ha garantito che «non lo farei più».
Jovanotti ha addirittura ridacchiato: «L'avevo detto a Veltroni che non poteva usare Mi fido di te per le elezioni: è una canzone che parla di perdita». Perciò portate pazienza, l'Inno più gettonato in Italia è sempre quello della smentita (a posteriori).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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