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Vi spiego perché il giudice poteva decidere diversamente

di Il Tribunale per i Minorenni di Milano nel 2010 ha emesso una sentenza (estensore Mastrangelo, presidente Villa), in un caso simile a quello sconcertante di Cittadella, che dice testualmente «...rilevato che il minore ha avuto scarsi e poco significativi rapporti con il padre... è stato sempre allevato dalla madre ed ha confermato la propria volontà di non incontrare il padre... nulla impedisce che il minore, nel suo percorso di maturazione, possa decidere di costruire un rapporto con la figura paterna, ma tale eventualità deve essere lasciata alla libera scelta del minore e non è passibile di essere coercitivamente imposta da questo Collegio...».
Il quale Collegio, per evitare le solite polemiche di genere, va detto subito, era composto da tre magistrati uomini e una donna.
Questo provvedimento dimostra, ancora di più oggi, che abbiamo magistrati determinati a tutelare i minori, come è compito precipuo del Tribunale per i Minorenni.
Prima di arrivare allo stupro emotivo a danno del piccolo Leonardo, attuato con feroce doverismo da quattro adulti, tante potevano essere le strade percorribili, tutte tese a evitare quello che in Italia e all'estero è stato percepito come un «rapimento» legalizzato, per di più in un luogo di socializzazione, protezione, solidarietà e responsabilità, quale deve essere la scuola. E dove il bimbo dovrà ritornare.
a) I giudici, nella loro ampia discrezionalità, avrebbero potuto rispettare la volontà del bambino. Ma avrebbero potuto anche affiancargli un educatore sociale che, per esempio, lo accompagnasse e lo riprendesse da scuola per capire e trovare il modo di attenuare progressivamente le ragioni del rifiuto. Se convinti dalla perizia della patologia alienante del bambino, sarebbero potuti intervenire sulla madre - responsabile secondo il consulente psichiatrico dell'ostilità del figlio contro il padre - imponendole un percorso di sostegno alla genitorialità e sanzionando sistematicamente le sue inadempienze.
b) Anche il padre avrebbe potuto rispettare la volontà del figlio (persino se convinto del condizionamento materno) cercando altre vie, invece di quelle giudiziarie, per un approccio basato più sul volere il bene del figlio che non il volere il figlio: tanti padri esclusi dalla condivisione della genitorialità scrivono lettere ai figli, inviano dvd, cercano regali simbolici, coinvolgono la solidarietà di amici e parenti per incontri estemporanei e rispettosi di eventuali disagi dei loro bambini. Fino a riconquistare chi si sente, anche ingiustamente, tradito. Ma avrebbe potuto fare anche un passo indietro, soltanto al pensiero che nessun amore si impone con la forza. Né egli può dire, oggi, di averlo «liberato» o che la colluttazione era inevitabile: è stato trascinato e maltrattato un bimbo, non i suoi sequestratori.
c) Gli avvocati dei conflittualissimi genitori avrebbero potuto governare con più determinazione il rancore, la voglia di vendetta e di conquista delle parti, fino a rifiutarsi di seguirli in un obiettivo che si è rivelato alla fine il soggiogamento violento del corpo di un ragazzino trascinato sul marciapiede, che mentre chiedeva aiuto è stato imprigionato dagli adulti. Una sconfitta per tutti.
Nel diritto di famiglia è indispensabile avere competenze, esperienza, buon senso e rispetto dei minori prima che dei propri clienti. Chi si occupa in prevalenza di incidenti stradali o di banche, o chi non ha fatto un percorso mirato alla tutela della persona, non sempre può conoscere la giurisprudenza e le infinite variazioni sul tema. Può vincere come avvocato, perché la tecnica c'è e la legge è malleabile; ma umanamente può non essere previdente nell'intuire le trappole nelle quali far precipitare gli incolpevoli bambini coinvolti. Meglio sarebbe stato se avessero agito sulle inadempienze della madre, cercando di ottenere il suo allontanamento dal bambino e non viceversa. Si sarebbe potuto invocare la ripetuta inottemperanza dolosa agli ordini del giudice, o il maltrattamento, o la violenza privata sulla base della presunta pas - che è ritenuta patologia dei figli causata da comportamenti (dolosi) manipolatori di un genitore a danno dell'altro.
d) Gli agenti di polizia hanno sbagliato: il provvedimento sembra imponesse loro discrezione e delicatezza. Che hanno lasciato il posto all'arroganza («io sono un ispettore di polizia e lei non è nessuno») e ai modi brutali che non si dovrebbero usare neppure con i criminali. Ed è emersa persino la paradossale difesa di un superiore che ha detto «non so che filmato abbiate visto, perché non c'è stato alcun trascinamento». L'ha visto, con raccapriccio, tutto il mondo. Gli agenti, invece, avrebbero potuto chiamare il loro capo e spiegare la resistenza del bimbo o farsi dare istruzioni dal Giudice che aveva raccomandato discrezione. L'attuabilità dei provvedimenti relativi all'affidamento dei minori impone, a chiunque se ne occupi, la continua valutazione della conformità all'interesse del minore di quanto si è deciso di fare.
e) Non è condivisibile neppure il comportamento del consulente psicologico, giacché, se è vero che il bimbo ha la «pas» e, dunque dovrebbe soffrire d'ansia, mancanza d'autostima e sfiducia negli adulti, mai avrebbe dovuto consentire che fosse sottoposto a quella violenta tortura. Lui stesso afferma che «soggetti traumatizzati nell'età in cui hanno più bisogno d'amore, maturano un'instabilità capace di degenerare nel suicidio».
f) Ha sbagliato certamente anche la madre, nel non rispettare né il diritto del figlio alla frequentazione paterna né i provvedimenti del giudice. Non ci si può fare giustizia da sé sulla pelle di un bimbo.
Insomma, per quante originarie o orrende colpe possa avere la madre, tutti gli altri ne hanno altrettante.
Nessuno, comunque sia, ha capito che un bambino non può essere tutelato se è contemporaneamente l'oggetto di una, per quanto mai corretta, pretesa giudiziaria e il soggetto di diritti assoluti intoccabili.


Tutti i protagonisti di questa vicenda hanno mostrato di non avere né la testa né il cuore, sacrificati entrambi all'affermazione del proprio ruolo e della propria funzione.

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