La vivisezione è defunta ma c'è chi vuol resuscitarla

Ignazio Marino, candidato Pd a sindaco di Roma, è medico. Eppure si dice a favore dell'inutile massacro degli animali. Con la scusa dei posti di lavoro...

La vivisezione è defunta ma c'è chi vuol resuscitarla

Ignazio Marino è un medico prestato alla politica, tanto prestato da essere candidato, come sindaco di Roma, per il Pd. Nei talk show si presenta con modi gentili, rispettosi e aspetto accattivante. Quando però si mette il camice bianco da fautore della vivisezione, tra gli animali da laboratorio la sua apparizione non deve riscuotere tanta serenità. Riscuote brividi.

Leggo ora una dichiarazione del suo ufficio stampa. È di qualche mese fa, ma sono certo che Marino non abbia cambiato opinione di una virgola. «Sono dispiaciuto e sorpreso che il Governo abbia confermato il proprio parere favorevole a un articolo che vuole vietare l'allevamento di animali destinati alla sperimentazione nel nostro Paese. Si tratta di un atteggiamento errato per tre motivi.

Questa posizione non tiene conto di ragioni scientifiche fondamentali: nessun organismo nazionale e internazionale autorizzerebbe mai l'uso clinico, sull'uomo, di una molecola che non sia stata precedentemente sperimentata su due specie animali. In secondo luogo, il periodo difficilissimo che stiamo vivendo dal punto di vista economico non può essere affrontato dando una chance in più alle imprese farmaceutiche per delocalizzare: si calcola che, se gli allevamenti chiuderanno, oltre 10mila ricercatori perderanno il posto e probabilmente saranno costretti ad andare all'estero. Infine, dal punto di vista etico, ci troveremmo in una posizione insostenibile: il vaccino contro l'Aids, ad esempio, si sta sperimentando in Africa sui primati e le ricerche sono finanziate dal ministero della Salute. Diventeremo il Paese che accetta la sperimentazione purché sia fatta solo su animali che non si trovano in Italia? O rinunceremo da subito a un possibile vaccino contro l'Hiv?».

Sul primo dei tre motivi vale la pena spendere solo poche parole. Ormai, la maggior parte dei ricercatori è sempre più critico verso la sperimentazione dei farmaci sugli animali. Basta leggere, su Regulatory Toxicology and Pharmacology il recente lavoro di Peter Van Meer (Università di Utrecht) dal titolo adamantino: «Gli studi sugli animali hanno efficacia limitata nello scoprire effetti collaterali gravi dopo che un farmaco è stato messo in commercio». Infatti, centinaia di molecole devono essere revocate, ogni anno, per gravi e letali effetti avversi sull'uomo, mai dimostrati sugli animali.

Il secondo motivo merita ancora meno. Sarebbe come dire: «Visto che c'è crisi d'occupazione, riapriamo all'amianto, prima che lo facciano in Romania». Meglio l'asbestosi o un cancro al polmone, ma a pancia piena. Si soffoca con più serenità. Mi pare si commenti da solo.

Scandaloso è il terzo motivo, ovvero la difesa del vaccino anti-Aids, attualmente sperimentato in Sud Africa con partecipazione economica del nostro Paese (fosse pieno di soldi!). Non ne ha avuto abbastanza della «scoperta» italiana di Barbara Ensoli, il vaccino basato sulla proteina Tat che doveva evitarci una vista di gruppo alla valle di Giosafat, per le reciproche condoglianze?

Nel 1998, dopo una comunicazione scientifica al simposio mondiale sull'Aids di S. Marino, tutti i media italiani ci cascano. L'Italia è prima: ha il vaccino contro l'Aids. Turiboli e incenso per Barbara Ensoli, in odore di Nobel. In realtà oggi sappiamo che è stato un colossale fallimento e un colossale spreco di denaro pubblico.

Robert Gallo, scopritore dell'Hiv, scrive nella prefazione a un recente libro sull'argomento: «Da qualunque parte di vista la si guardi, l'intera questione mi sembra banale dal momento che non credevo allora, come non credo ora, che esista un grammo di logica, né di dati, che indichi nella Tat un possibile efficace vaccino».

E il nostro Marino chiede altri soldi pubblici per riportare gli esperimenti dal Sud Africa in Italia. Quel che mi stupisce di più è che non sia candidato al Quirinale.

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