Lo zampino del Fmi: tassare i redditi da capitale

La ricetta dell'istituto da cui proviene proprio il commissario Cottarelli: attaccare il risparmio

Lo zampino del Fmi: tassare i redditi da capitale

Milano - «La forte disuguaglianza dei redditi è un freno per la crescita economica». A dirlo, non è qualche economista vetero-marxista, né uno dei Chicago boys folgorato sulla via della solidarietà, bensì il Fondo monetario internazionale. Quello stesso Fmi che fino a non molto tempo fa alzava le barricate contro chi avversava l'austerity, scopre ora di sé un lato inedito: lo slancio verso i più deboli. E in questo impeto redistributivo, arriva a suggerire ricette tese al riequilibrio sociale che sembrano uscite dalla penna del nostro commissario alla spending review, Carlo Cottarelli. Proprio lui, l'uomo che conosce a menadito anche gli scantinati del Fondo, dove per 25 lunghi anni è stato tra le figure più influenti, una sorta di globetrotter interno capace di passare dall'ufficio per l'Europa al dipartimento Mercati finanziari.
Le raccomandazioni del report, intitolato «Fiscal policy and income inequality», hanno infatti già trovato chi le ha subito messe in pratica: più o meno, sono le stesse misure illustrate l'altroieri dal premier Matteo Renzi con tanto di grafici, disegnini e battutine. Leggi alla voce «imposte patrimoniali», considerate un «approccio innovativo» (sic!) e per cui si sollecita un maggior ricorso. Acuta l'analisi che accompagna il consiglio: «Le tasse sui redditi di capitale - si legge - possono rafforzare la progressività del sistema», anche perché «generalmente i contribuenti che risparmiano ed investono sono quelli che stanno meglio e pertanto anche una proporzionale imposta sui redditi di capitale può aumentare la progressività». E l'Italia, essendo «tra i Paesi con le più accentuate disuguaglianze sul fronte del reddito e dove la mobilità intergenerazionale (la differenza tra i guadagni di un genitore e quelli di un discendente, ndr) è più bassa», rappresenta un corpo perfetto su cui far aderire il cerotto della patrimoniale. Tanto più, è la bacchettata del Fondo, che non abbiamo fatto bene i compiti i casa; a differenza di Paesi come Grecia, Lettonia, Portogallo, Romania e Spagna, in cui tra il 2008 e il 2012 sono «le famiglie nelle fasce di reddito più alte che hanno dovuto sopportare il maggior costo degli aggiustamenti». Con grande giovamento per il resto della popolazione, spesso senza un lavoro. I tagli agli stipendi e alle pensioni dei dipendenti pubblici italiani non sono invece sufficienti, e l'entità della perdita nel reddito delle famiglie è stata molto limitata perché «ha riguardato solo una piccola parte della popolazione» italiana.
Occorre dunque agire più in profondità, a più largo spettro. Spazio, peraltro, non ne manca. I ragionieri del Fondo hanno infatti calcolato che dal 1970 al 2010 il patrimonio delle famiglie tricolori si è ingrossato del 180%, contro una media dell'80% nelle otto economie più sviluppate. Negli Stati Uniti l'incremento è stato appena del 21%.

Una differenza abissale che non si può certo spiegare con eventuali maggiori guadagni ottenuti in Italia grazie agli asset finanziari e immobiliari: la differenza, al contrario, l'ha fatta la nostra capacità di risparmio rispetto all'irresistibile attrazione degli americani verso i debiti. Una capacità che ora si vuole punire.

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