LAgcom non è unistituzione popolare. Prima le lacerazioni sulla par condicio. Poi uno sciopero della fame indetto in una delle burocrazie più privilegiate dItalia. Infine una proposta sulla tutela del diritto di autore online che viene presentata come censura della rete. Nessuna istituzione sa farsi male da sola meglio dellAgcom e il pregiudizio che la circonda è ormai granitico. Lo capisco e mi rassegno. Tuttavia voglio provare a chiarire i termini reali della questione «diritto di autore» non fosse altro perché la posta in gioco è davvero molto alta.
La devastazione della pirateria online, a cominciare da quella praticata dai siti esteri, è oggi tale da collocare lItalia in fondo alla lista nera. Questo è il nocciolo della questione. Quali rimedi? Per qualcuno basta lintervento dellautorità giudiziaria per oscurare i siti che praticano la pirateria. È sufficiente? A nostro avviso no, perché quantunque la magistratura abbia compiuto un lavoro eccellente i tempi e costi del processo non consentono sempre risposte rapide. Ora efficacia e tempistica in questo campo sono tutto: immaginate il danno di decine di migliaia di download illegali nellarco di mesi? A che serve la sentenza quando i buoi sono scappati? Di qui la scelta del legislatore di prevedere un doppio binario, amministrativo e giudiziario.
LAgcom, quale organo di vigilanza, potrebbe intervenire per ordinare la rimozione dei contenuti illegali o, in extremis, loscuramento del sito, dopo un contraddittorio. Lautorità giudiziaria vaglierà la legittimità della decisione amministrativa. Apriti cielo! Su questa impostazione si è scatenato un putiferio, come se la Cia si fosse infiltrata per prevenire unaltra wikileaks. Si è detto di tutto. Che lAgcom avrebbe adottato un regolamento senza ulteriore consultazione. Sbagliato: perché niente può essere approvato senza previa consultazione, tanto più quando questa è avvenuta solo su linee guida. Si è detto che Agcom violava la riserva di legge, quando è proprio il Parlamento che le ha conferito il potere e dovere di intervenire.
Infine si è sostenuto che lAgcom si accingeva a deliberare senza conoscere la materia di cui trattava. A sostenerlo è stato sulle colonne della Stampa un accademico torinese un po spocchioso dal nome borbonico che mette in soggezione: Juan Carlos De Martin. «Conoscere per decidere», ci ammonisce. Giusto! Cominci ad applicarlo a se stesso, visto che riferisce di un incontro tra Calabrò e i rappresentanti di alcune associazioni al quale non ha assistito, tranciando giudizi dopo avere preso per buono il resoconto di una parte. Davvero poco sabaudo. Quanto poi alla domanda che ci pone «ma la condivisione illecita di file danneggia davvero lindustria culturale?», lo vada a chiedere a chi paga le tasse, investe, retribuisce dipendenti e autori per poi essere massacrato quotidianamente dal download illegale di file.
Lelogio della pirateria come mezzo per socializzare il sapere è un tema da seminario accademico, non da procedimento amministrativo. Nemmeno molto originale visto che se ne discuteva già nel 700 e per nostra fortuna ebbe la peggio nel confronto con la tutela del diritto di autore.
*Commissario Agcom
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