INTERVISTA ANTONIO PATRONO (CSM)

Roma«C’è oggi un eccessivo potere dei pm che hanno una grande libertà di manovra, mentre i giudici sono troppo deboli. In Italia abbiamo 2000 sostituti procuratori quasi incontrollabili, perché norme e prassi hanno svuotato il ruolo dei loro capi». Antonio Patrono (nella foto), ex presidente dell’Anm e membro del Csm appartenente alla corrente moderata delle toghe, Magistratura indipendente, è convinto che la riforma della giustizia debba partire proprio da questa consapevolezza.
Questa sua riflessione nasce anche dagli ultimi fatti di cronaca, dalle inchieste che sconvolgono il mondo politico agli scontri tra le procure?
«Sono convinzioni che ho da tempo e quello che sta accadendo recentemente - iniziative sbagliate, provvedimenti di carcerazione, liti tra procure e difetti di coordinamento - non fanno altro che rafforzarle. Il problema è che il sistema non consente controlli sufficienti sui pm da parte dei capi degli uffici, per evitare situazioni cui poi è difficile porre rimedio».
Quando inizia tutto questo?
«Almeno un paio di decenni fa, per un’avversione a una gerarchia allora molto forte che portava anche a distorsioni gravi. C’erano capi delle procure potenti ma troppo spesso inadeguati e si è voluta dare più dignità al ruolo dei sostituti. Negli ultimi anni, però, si è passati da un estremo all’altro ed ora è necessario riequilibrare, responsabilizzando i capi delle procure e valorizzando allo stesso tempo il ruolo del giudice».
Che cosa propone?
«Razionalizzare gli uffici. Abbiamo 160 procure, un numero abnorme. Le ridurrei a 26 come gli attuali distretti, in modo di avere pochi capi, ma autorevoli e scelti meglio, con più poteri organizzativi e decisionali e maggiori responsabilità verso il Csm, che dovrebbe poterli rimuovere celermente in caso di inadeguatezza. Oggi, invece, questo succede troppo difficilmente, con procedure lunghe e complicate per cui i casi sono davvero pochissimi. Sul piano processuale, poi, vorrei che il pm dovesse chiedere al giudice l’autorizzazione non solo per le restrizioni della libertà personale degli indagati e per le intercettazioni telefoniche, ma anche per misure molto invasive come le perquisizioni domiciliari e personali, che oggi dispone autonomamente».
Lei dice che il giudice è troppo debole.
«In particolare il gip, che è il primo a doversi confrontare con il pm, è spesso giovane e in difficoltà di fronte alle richieste di sostituti più determinati ed esperti di lui».
Così, succede che si appiattisca appunto sulle posizioni del pm...
«È l’anello debole. È solo, mentre negli altri casi più importanti le decisioni sono collegiali. Credo che il suo ruolo vada rafforzato, riportandolo al centro del sistema. L’ideale sarebbe scegliere come gip i magistrati più bravi ed esperti (magari con almeno 8 anni di funzioni alle spalle), ma visto che questo è difficile da garantire lo renderei un organo collegiale, se non per tutte le funzioni almeno riguardo alle misure cautelari. Un gip più forte servirebbe anche a evitare tanti processi inutili, che si concludono con assoluzioni. Se nell’indagine preliminare il gip non accogliesse la richiesta di rinvio a giudizio del pm, se non è giustificata, il processo si fermerebbe a quel punto».


Per tutto questo crede che una riforma della giustizia sia urgente?
«Prima di rivoluzionare la Costituzione, sarebbe il caso di realizzare queste semplici modifiche che hanno due linee fondanti: rafforzare il giudice e razionalizzare, senza depotenziare, il pubblico ministero».

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