Gli accordi sono una bella cosa. Quello raggiunto tra lItalia e la Libia, e suggellato da un incontro tra Silvio Berlusconi e il colonnello Gheddafi è poi, a prima vista, una cosa non bella ma bellissima: perché mette fine - almeno si spera, personalmente ho qualche dubbio - a quasi quarantanni di accuse libiche allItalia colonizzatrice, e perché porta la firma dun leader che sè fatto proclamare «Re dei re dAfrica». È oltretutto un accordo bipartisan, la cui conclusione è stata preceduta da un lungo negoziato portato avanti volta a volta dal centrosinistra e dal centrodestra.
Non voglio aver laria di saperne più dei politici e dei funzionari che si sono impegnati a risolvere un contenzioso le cui premesse - guerra giolittiana di Libia - risalgono a quasi un secolo fa. Ma avendo sollevato qualche obiezione prima dellentente cordiale di Bengasi, ritengo sia mio dovere tornare sul tema. Nessuno può contestare che la Libia sia per lItalia un interlocutore importante. Si affaccia sul Mediterraneo proprio di fronte alla penisola, ha il petrolio, ha la possibilità di bloccare - o non bloccare - il flusso delle imbarcazioni cariche di clandestini disperati che vogliono raggiungere le nostre coste.
Disponendo di questi strumenti di pressione - non vogliamo chiamarli di ricatto - e rifacendosi a remote colpe storiche già pagate dalla collettività italiana in Libia con il «giorno della vendetta», ossia con lespropriazione dei beni, il Re dei re ha duramente preteso, e ottenuto, un indennizzo colossale. Tale può essere considerato sia per lentità della spesa addossata ai contribuenti italiani, sia per la congiuntura economica critica in cui lonere viene assunto.
Pazienza, si dirà. Ne abbiamo passate tante, passeremo anche questa. Rimane un problemino, che è di particolare attualità dopo le recenti polemiche per le Olimpiadi in Cina, e per le trasgressioni dei diritti umani dalla Cina compiute. Gheddafi è un dittatore, e non dei più bonari.
Intesa Italia-Libia Non solo sorrisi
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