Intrighi, amanti e vendette Un’Iliade d’oggi in salsa ketchup

Si dovrebbe fare un’inchiesta sul dirigente, capostruttura e affine della Rai, che nella tarda estate del 1981 decise di cestinare quel mattone americano titolato Dallas, creato da David Jacobs per la Cbs. Era un telefilm di tre quarti d’ora, su Raiuno, in prima serata non attirava pubblico, non dura, dura minga, secondo il o i succitati dirigenti Rai i quali, dunque, mollarono sdegnosamente la pepita sulla quale piombarono quelli di Canale 5. E fu bingo, fu superenalotto, non 5+1, non 6 ma 10 stagioni a manetta per noi, 14 per gli americani, 357 puntate, comprese le miniserie, una storia lunga, tra amori, tradimenti, manovre di potere, sparatorie, tentativi di suicidio, morti presunte, agguati, il repertorio di sempre, da Omero in poi, per intenderci, l’Iliade ai giorni nostri, in salsa ketchup. Segnalo, in aggiunta al curriculum dei dirigenti Rai, che Dallas fu tradotto in 67 lingue per 90 Paesi, record assoluto delle produzioni televisive americane. Altre novità?
In principio ci fu dunque il serial, non killer ma film, il bivio della televisione commerciale in un Paese, il nostro, che ancora non sapeva guardare oltre il canale, quello di mamma Rai e incominciava a scoprire il fascino perverso della tv libera, si diceva, o meglio privata, ancora con moltissimi giri di ritardo rispetto a quella pubblica ma con un motore più veloce e agile, la serialità portava, ha portato alla fidelizzazione del pubblico, tifoso di una storia, invidioso di una faccia, quasi parente di un interprete.
Gei Ar, nel senso di J. R. (John Ross) Ewing junior può essere considerato il padre di tutti gli attori di soap opera. Larry Hagman, il nome all’anagrafe dell’interprete, non aveva gloria nel mondo della cinematografia e della televisione fino al giorno in cui, aveva i suoi bei cinquant’anni, gli dissero di mettersi in testa il cappello da texano e di accompagnarsi con Linda Gray (la moglie di J. R. la storica Sue Ellen, di anni quaranta, bellissima, miss Texas per dire), Patrick Duffy (Bobby, il fratello), Charlene Tilton (Lucy), Ken Kercheval (Cliff), Victoria Principal (Pamela) e il resto della brigata del ranch di South Fork, quattro tetti rossi su una casa bianca. Trent’anni dopo, proprio qui nella corte del ranch, ieri fumavano braciole, salsicce, costolette di agnello mentre la schiuma della birra rendeva allegra, se non barcollante, la comitiva di reduci assediata dai fan che hanno pagato anche il biglietto di partecipazione al party con grigliata paesana, con un paio di ticket esclusivi di 1000 dollari riservati a chi voleva farsi un giretto in elicottero proprio con J. R. in persona, di anni 77, con molti capelli in meno, un cancro al fegato ormai debellato, e sempre lo stesso cappello di allora.
La saga di una famiglia di petrolieri doveva ridursi nel giro di alcune puntate, con episodi nemmeno correlati. Ma Jacobs, d’accordo con la Cbs, capì che era il momento di allestire un romanzone che ruotasse attorno alla famiglia benestante degli Ewing, mettendoci dentro gli affari, i dollari pesanti, il sesso, le tresche tra parenti e gli intrighi che coinvolgevano l’uno e l’altro soggetto.
E così noi italiani, dopo aver scoperto l’America, andammo a scoprire gli americani, non più i cow boy a cavallo, non soltanto i gangster, gli sceriffi, la Cia, Topolino e Paperino, ma finalmente roba più vicina alle beghe di noi altri, le corna, le vendette, le liti di famiglia, il desiderio di far soldi, il tutto rivisto e (s)corretto made in Usa, insomma anche a Dallas ne facevano di tutti i colori. Anche perché quella città texana faceva venire in mente a noi, al resto del mondo, a tutti, i fotogrammi di un omicidio, l’assassinio di John Kennedy, il fucile di Lee Oswald, poi ucciso da Jack Ruby, dunque c’era anche, si potrebbe dire, il traino storico, lo spot involontario di un dramma americano e mondiale legato a quel sito, però trasformato, non più macabro, violento ma furbastro e intrigante.
Ne scaturì, ad esempio, una serie di battezzate con il nome di Sue Ellen, roba da mandare insieme il sacerdote, i chierichetti e l’ufficio anagrafe dei comuni, e con lady Ewing anche tanti J. R. schedati da noi spesso letteralmente Gei Ar, così come era accaduto, dopo la prima guerra mondiale, con Firmato Diaz. E comunque J. R. era così bastardo che diventava la proiezione del bastardo dentro di noi molti.
Erano serate, prime serate, di grande trepidazione, altroché Isole e Talpe, i videoregistratori erano rari, di internet nemmeno l’ombra o l’ipotesi, dunque chi si fosse perduto una puntata doveva farsela raccontare dai parenti o vicini di casa, puntualmente informati sugli sviluppi e i colpi di scena.
Prendete la puntata in cui spararono a J. R.: vennero stampate, vendute, esaurite, addirittura le magliette con la scritta «Chi ha sparato a J. R.?», o il suicidio di J. R.: che poi non era altro che lui medesimo che sparava allo specchio, roba da 85 milioni di telespettatori in America e circa 8 in Italia.
Ci furono anche morti, nel senso buono, cioè sul set, il primo a salutare la compagnia fu Jim Davis che interpretava J. R. senior, il padre, defunto nel 1981; Bobby venne colto da infarto, davanti al ciak, ma si è ripreso così bene che attualmente lo vediamo in Beautiful nella parte del papà di Brooke, così come Susan Flannery in Dallas come Leslie Stewart e in Beautiful la «strega» intrigante Stephanie Forrester ma sicuramente Sue Ellen, al secolo Linda Gray, che per un anno ha recitato come Priscilla Kelly nella parte della mamma di Samantha.

Una compagnia di giro, cambiando l’ordine degli attori non è cambiato il prodotto e nemmeno i fattori, una puntata al giorno leva la concorrenza di torno.
Nel ranch di South Fork hanno riavvolto la bobina del film, tornando indietro di trent’anni, pensando con gioia alle casalinghe disperate.

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