Lugano - Maurizio Bianchi, il figlio del partigiano «Renzo» nega tutto. E chi lo conosce bene sa che negherà fino alla morte. «Non ho mai posseduto i diari di Mussolini», dichiara al Giornale. Per rendere più credibile la sua versione rileva che il padre «è morto 18 anni fa, mentre il partigiano citato dai giornali sarebbe scomparso di recente». L’osservazione è ineccepibile. Eppure tutti gli indizi portano a lui (Era "Renzo" il partigiano che trafugò le carte). Lugano è una città piccola e non è complicato ricostruire la storia. E che storia: vede protagonisti meccanici, faccendieri, gestori di bus, gente dello spettacolo fino ai grandi nomi della politica italiana.
Tutto inizia poco più di due anni fa. Una confidenza di troppo o forse il desiderio di farla finita con una vita certo non agiata. «Ho ereditato le memorie del Duce», sussurra il figlio del partigiano a un amico, un «soci» come si dice in dialetto ticinese, che di professione fa il meccanico. Gran brava persona, ma certo non l’interlocutore più indicato per gestire questioni del genere. Lui, il «soci» conosce un famoso imprenditore di origine slava, da tempo residente a Lugano, e lo avvicina, ma la trattativa non va in porto. E allora coinvolge un altro amico; il Davide, Davide Taddei titolare di un’agenzia di bus che effettua la navetta con l’aeroporto di Malpensa. È un piccolissimo imprenditore, eppure dice di avere buoni contatti con gli ambienti politici italiani.
Siamo all’inizio del 2005, il figlio del Duce, Romano, è ancora vivo e di tanto in tanto viene a suonare nei locali luganesi. Diventa amico del Chicco, quel Frigerio, che negli anni Ottanta conobbe una certa popolarità come proprietario di una squadra di basket prima di riciclarsi nei Novanta come gestore di ristoranti. «Io dei diari non ho mai saputo nulla», giura parlando con il Giornale. Ma è in uno dei suoi locali che il figlio del partigiano incontra, alla fine del 2005, il figlio del Duce. Gli mostra le fotocopie delle carte. Per Romano sono autentiche o almeno così si vocifera a Lugano. Il Taddei non ha più dubbi: bisogna venderli, tentare un’asta.
Il Davide contatta Lele Mora, noto impresario del mondo televisivo, e poi ambienti politici italiani. «Io ho delle conoscenze in Forza Italia - dichiara ai giornalisti della trasmissione «Modem» della Radio della Svizzera Italiana -. Due anni fa mi ero recato in viale Monza per cercare di vendere i diari. Avevo avviato una trattativa con loro, sulla base di venti milioni di euro». Taddei e l’amico partigiano fanno eseguire una perizia calligrafica, che attesta l’autenticità delle carte. «Ho il certificato originale - ammette il titolare della Starbus - ma una copia l’ho consegnata a Lele Mora». Perché proprio lui? Mistero.
Intanto aumenta il numero degli amici del partigiano. Alcuni vogliono che i diari restino in Ticino, per poi farli pubblicare da una grande casa editrice e mettere gli originali a disposizione degli storici. Altri invece fiutano soprattutto l’affare, per cambiare vita. In mezzo sempre lui, il figlio del partigiano. Un docente liceale, Pierfranco Castelli, interpella il direttore della Biblioteca cantonale di Lugano, Gerardo Rigozzi, che avrebbe ricevuto una richiesta di un milione e mezzo di franchi, poco meno di un milione di euro. La cifra è venti volte più bassa di quella richiesta a Forza Italia. Ma la trattativa si arena.
Il figlio del partigiano non desiste e si affida ad altri intermediari. A questo punto entra in scena Marcello Dell’Utri, che il 10 febbraio decide di divulgare alcune delle pagine del diario. Con quale epilogo ancora non si sa. A Lugano c’è chi giura che l’accordo potrebbe concludersi a dodici milioni, di cui sette andrebbero come diritti alla famiglia Mussolini e cinque al figlio del partigiano.
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