Intrighi e passioni nell’antica Cina

«La città proibita» di Gong Li, capolavoro che racconta le cospirazioni imperiali

Spacciato dalla pubblicità italiana per un film dalla parte dell'imperatrice (Gong Li), La Città Proibita di Zhang Yimou è, al contrario, dalla parte dell'imperatore (Chow Yun-Fat). Come in Hero e nella Foresta dei pugnali volanti - metafore del potere in forma di wuxiapian, film sulle arti marziali -, Zhang Yimou evoca l'essenza della sovranità e il prezzo che comporta per chi la raggiunge. Per concluderne che esso va pagato. Lo stesso Zhang Yimou l'ha pagato, anche senza avere lo scettro: dapprima come figlio di un ufficiale dell'esercito nazionalista, epurato dai comunisti nel 1949; poi come studente, spedito quindicenne nelle campagne dalla natia Xian durante la «rivoluzione culturale». La Città Proibita - grande film ai limiti del capolavoro - si svolge proprio nella reggia cinese, ricostruita in teatri di posa più vicini a Shanghai che a Pechino. Fin dalla cerimonia del risveglio, assistiamo agli «arcana imperii». Se una moglie si può dividere con l'amante, soprattutto se questi è il primogenito - figlio d'altro letto - dell'imperatore stesso, il potere non si divide con nessuno. La cospirazione dell'imperatrice, che l'imperatore fa lentamente avvelenare, ha un simbolo: il crisantemo che l'imperatrice stessa ha ricamato come simbolo dei congiurati. La prima parte del film è dalla loro angolazione, ma la seconda ne distrugge le illusioni. I buoni sono tali solo perché impotenti e la potenza sovrana vigila perché non possano diventare cattivi.


Si noti come fantasia e realtà qui in parte coincidano: il ruolo dell'imperatrice è andato alla sua compagna di lavoro e di vita, che l'aveva tradito e che lui aveva allontanato dieci anni fa, ma senza avvelenarla. La clemenza ha i suoi vantaggi.

LA CITTÀ PROIBITA di Zhang Yimou (Cina, 2007), con Chow Yun-fat, Gong Li. 111 minuti

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