INUTILE SALVARLO È IL SUO DESTINO

La premessa necessaria a quest’articolo è che sono contrario alla pena di morte, sempre e comunque. Superfluo spiegare perché. Ciò detto, si tratta di capire se abbia una giustificazione logica, e quale, la condanna di Saddam Hussein alla pena capitale: e se sia sensato che in Occidente si pensi che sarebbe meglio salvargli la vita, al di là dei sacri principi.
Analizzando il problema con fredda lucidità, Sergio Romano ne ha sottolineato tre aspetti. 1) Se la condanna di Saddam sia un passo avanti sulla strada di una migliore giustizia internazionale. 2) Se contribuisca alla conoscenza del regime del dittatore irakeno e dei metodi con i quali ha governato il suo Paese. 3) Se la sua morte sia utile alla pacificazione dell’Irak. A tutte e tre le domande è facile e ovvio rispondere no. Perché il processo avrebbe dovuto tenersi presso la corte internazionale dell’Aja; e perché ha riguardato un singolo episodio, per quanto grave, della lunga carriera sanguinaria di Hussein; perché è prevedibile che gli estremisti sunniti inaspriranno la loro lotta di fronte alla morte di un capo che diventerà un martire da vendicare con una guerra civile sempre più sanguinosa. Tuttavia ci sono altri argomenti, che vanno considerati secondo altre logiche: storiche, religiose e geopolitiche.
Fa parte della storia di tutte le epoche e di tutti i luoghi che il dittatore, decaduto o sconfitto, venga ucciso: dai vincitori o dai suoi ex sudditi, o da entrambi di comune accordo, come in questo caso. Non sostengo sia un bene, ma è indubitabilmente così. È difficile pensare che un’eccezione a questa regola spietata possa avvenire proprio in un Paese ancora lacerato dalla guerra, dal terrorismo, dall’occupazione militare straniera proprio a causa di quel dittatore. È già molto, in quella situazione, che ci sia stato un processo. Sarebbe stato meglio, per la conoscenza della storia d’Italia e della giustizia, che Benito Mussolini fosse stato processato prima di venire – eventualmente – condannato a morte. Ma un dittatore catturato mentre fugge, o si nasconde, dopo la sconfitta, per la «legge» della «giustizia» sommaria - o come in questo caso, dopo un processo - non scappa alla fucilazione o all’impiccagione, oggi come sessanta anni fa: la storia non fa balzi in avanti, e il genere umano non è pronto ai grandi ideali durante le guerre, in cui il solo grande ideale è uccidere il nemico.
Un’altra considerazione che fa apparire inevitabile l’esecuzione di Saddam, riguarda il suo Paese, in particolare, e la religione che vi si pratica. Ricordiamo tutti – credo – con quale scandalo e sdegno abbiamo accolto poche settimane fa la notizia che proprio in Irak è stata lapidata una giovane donna colpevole solo di adulterio. Se tale è la considerazione in cui viene tenuta la vita umana in quello Stato, con quella religione, come è realisticamente pensabile che proprio Saddam possa sfuggire alla morte? E poi, se il mondo intero non si è ribellato in concreto alla lapidazione (niente è stato fatto, neanche dopo, oltre alle condanne generiche), con quale diritto ci ergiamo oggi a giudici dei giudici di un processo regolare? e concluso con una condanna per colpe vere e ben maggiori di quelle della poveretta? Non siamo capaci di opporci a crimini simili, che si ripetono ogni anno in molti Stati musulmani: come possiamo pretendere di salvare la vita a un uomo che ha portato sofferenze terribili e interminabili al suo popolo? Abbiamo già sperimentato come il mondo islamico reagisca con violenza estrema a quelle che considera offese alle proprie leggi religiose, identificate con quelle dello Stato. Cedere sulle vignette satiriche su Maometto è stato un errore; chiedere scusa, da parte di Benedetto XVI, per il suo discorso di Ratisbona è stato un errore. Non c’è dubbio alcuno che se l’Occidente riuscisse, in nome dei suoi principi, a salvare la vita di Saddam, questo atto verrebbe considerato la più impensabile e incredibile fra le debolezze del «debole» mondo cristiano.

Se potessi gli salverei la vita, ma non c’è dubbio che – chiunque lo facesse, a partire dagli Stati Uniti – non riceverebbe in cambio la gratitudine del mondo islamico. Anzi, finirebbe per dare nuovo slancio al terrorismo nel nome di Allah. Lasciamo Hussein al suo destino.
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