La mia obiezione di fondo alle «invenzioni» di Romano Prodi, suggerite da quell'ingegno fantasioso e «fantastico» che è Arturo Parisi (l'Asinello e l'Ulivo), è che esse - nella loro pretenziosità - sono distaccate dalle storiche culture politiche europee, quelle che hanno fondato e ancora alimentano la democrazia europea: la cultura cristiano-democratica, con le sue varianti sociali, popolari e cristiano popolari, sia agganciate al cattolicesimo che al protestantesimo; la cultura socialista, compresa la sua atipica espressione laburista britannica ed irlandese, cultura oggi arricchita dal contributo di esperienza e di pensiero del comunismo europeo che ha fatto la sua irreversibile scelta istituzionale per lo Stato costituzionale delle libertà, pur non rinunciando alla sua storia ed alle sue grandi radici marxiste ed a cui in fondo si riallacciano anche gli originali movimenti neo-comunisti, quale in Italia il partito di rifondazione comunista ed il partito dei comunisti italiani; la cultura (...)
(...) liberale, da quella riformista degli whig britannici (l'antico partito tradizionalmente opposto ai conservatori) o dei liberi democratici tedeschi a quella più conservatrice francese e scandinava; la cultura conservatrice e moderata ed infine le varie forme di cultura nazional-tradizionalista, legate alle esperienze democraticamente «redentesi» dei fascismi europei, come l'italiana Alleanza nazionale e lo spagnolo Partito Popular.
Non solo L'Ulivo è distaccato da queste culture, ma ne nega la validità e le rinnega e, come ha dichiarato il suo leader, vuole rompere con loro, rassomigliando così sempre più al primo Berlusconi.
Ma ben comprendo come Romano Prodi abbia definito «un suicidio politico» la decisione adottata a stragrande maggioranza dall'assemblea federale della Margherita, sulla proposta di un lucido e coraggioso Francesco Rutelli, rivelatosi un vero giovane leader politico moderno, con l'«opposizione» dei prodiani «puri ed originari» e degli ex-democristiani ed ex-popolari. Divenuti prodiani, costoro, rinnegando il passato, per espiare il fatto di aver un giorno partecipato al partito anticomunista, filoamericano ed atlantico di Andreotti, di Forlani e di Gava: alludo ai Castagnetti, ai Letta ed alle Rosy Bindi, che ormai - se rimarranno nella Margherita - saranno identificati come il «correntino». Lo «strappo» di Rutelli è sostanzialmente il ripudio dell'ulivismo come neo-cultura o neo-ideologia avente come unico riferimento una leadership personalistica, «costituente» e «costitutiva», quale quella prepotente ed impositiva di Romano Prodi, anche per questo sempre più simile al «primo Berlusconi». Lo «strappo» di Rutelli sembra poter essere un ritorno alle culture politiche classiche, ed il rifiuto insieme delle «invenzioni arturiane» e della loro intelligente strumentalizzazione social-comunista in vista della conquista dell'egemonia.
Comprensibile invece sul piano tattico, ed anche su quello di una strategia che punta all'egemonia, la sprezzante e irosa sottovalutazione delle decisioni autonomistiche dell'assemblea federale della Margherita che ha fatto il leader dei Ds Piero Fassino. Esse segnano il fallimento di una strategia che voleva portare Romano Prodi alla creazione di un «partito unico» riformista nel quale, alla fine, fosse egemone la componente diessina: per le sue radici culturali comuniste, per il suo radicamento nella società (basti pensare al gigante Unipol e alle forti cooperative rosse), nonché al sistema di alleanze con i «poteri forti», da Unicredito a Banca Intesa al Monte dei Paschi di Siena alla Confindustria ed alla pur boccheggiante Fiat.
Gli ex-comunisti italiani sono ormai certamente democratici da un punto di vista istituzionale e sul piano del regime delle libertà (salvo il loro «giustizialismo» legato alla cultura giacobino-leninista oltre che alla teorizzazione pratica dell'uso politico di lotta di pubblici ministeri e giudici «democratici»). Meno «democratici» sono invece dal punto di vista ideologico-politico, poiché è proprio del marxismo il concetto di «superiorità» morale e di pensiero, di «preminenza» civile e di «egemonia» politica. Per questo, presto o tardi, il «partito unico» di Romano Prodi sarebbe stato «egemonizzato» naturalmente, e anche meritoriamente, dagli ex-comunisti diessini, con la «foglia di fico» dei loro «compagni di strada» dello Sdi di Boselli e dei «prodiani puri».
A leggere in trasparenza storica quanto è stato ed ancor oggi viene proposto sul piano organizzativo (federazioni, partito unico, collateralismo con i movimenti), ricorda la formula dei Fronti Popolari lanciata su proposta di Stalin (autentico genio politico oltre che militare!) dal Comintern, dopo anni di lotta contro il «socialfascismo» della socialdemocrazia europea e contro i partiti «borghesi», con l'invenzione della categoria dei «compagni di strada»: in Italia gli Scalfari, i Bobbio, i Galante Garrone e così via.
Si tratta di vedere se l'iniziativa originale di Francesco Rutelli andrà avanti: perché di tutto sarà fatto per impedirlo, dico di tutto, fino al finto ricatto di Romano Prodi: «Se non tornate indietro, io mi ritiro!» (e per andare dove?).
Se l'iniziativa va avanti, e sarebbe meritevole di successo politico ed elettorale, avremo un forte e giovane partito riformista non socialista, con un aggancio europeo della stessa ispirazione, il Partito Democratico Europeo, che potrebbe essere insieme un partito moderno ed un partito «storico». E allora i Ds dovrebbero impegnarsi, giusta l'intuizione del Correntone, per la creazione di un grande partito prima socialista e poi - se del caso - cautamente «riformista».
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