«Investiamo sui ragazzi»

Lavoro e formazione, intrecciati come mai prima nel concretare, sia per l’impresa sia per il giovane all’esordio lavorativo, un investimento a valere sul futuro. È il risultato cui puntano le modifiche legate al ddl Fornero: modifiche che s’innestano sul nuovo Testo unico varato lo scorso anno (decreto legislativo 167/2011), tese a fare dell’apprendistato la modalità prevalente per l’ingresso nel mondo del lavoro con una prospettiva di lungo termine. «L’intento della riforma - spiega il giuslavorista Francesco Rotondi dello studio legale LabLaw - è di ricondurre a questa fattispecie contrattuale l’avviamento al lavoro dei giovani, modificandone l’essenza giuridica. Se prima, infatti, l’apprendistato assumeva come naturale la scadenza del rapporto, ora la norma diventa la sua prosecuzione, attraverso la successiva trasformazione in un contratto a tempo indeterminato».
Avvocato, cosa ne consegue in concreto?
«Si tratta non soltanto di una modifica giuridica ma anche di un’evoluzione che impone un netto cambiamento culturale. L’impresa deve investire sulle nuove risorse che impiega perché, nella normalità della situazione, esse entreranno a far parte del suo organico. Difatti, la riforma Fornero lega la possibilità di assumere altri apprendisti alle stabilizzazioni già compiute dall’azienda nel triennio precedente, che devono essere pari ad almeno la metà del totale (ridotte al 30% nei primi 36 mesi dall’approvazione della legge, ndr).
Quali altri aspetti qualificano il nuovo indirizzo dell’apprendistato?
«In primo luogo la chiara volontà da parte del governo di stabilire nuove linee guida, evitando di consegnare il bandolo della matassa alle contrattazioni collettive, agli accordi interconfederali o alle Regioni. E poi, questa idea forte di trasformare l’apprendistato nello strumento principe di inserimento nel mondo lavorativo porta con sé anche la rivisitazione del contratto come modalità di lavoro in somministrazione».
Che Cosa cambia?
«Le agenzie per il lavoro possono somministrare alle imprese utilizzatrici pure gli apprendisti. Si tratta di una svolta importante poiché sottrae le Apl a una sorta di zona grigia. Ed è talmente forte la spinta all’uso del contratto in questa forma che verosimilmente sarà accolta l’idea di svincolare dalle indicazioni di causa gli apprendisti in somministrazione. Una decisione di buon senso e dagli effetti senz’altro significativi, proprio perché connessa alla fascia di mercato più problematica in assoluto, quella rappresentata dai giovani di età compresa tra i 16-18 e i 29 anni».
Resta però il nodo dell’Aspi...
«Sì, al contributo ordinario pari all’1,3% dello stipendio, previsto in capo alle imprese per finanziare l’Assicurazione sociale per l’impiego, si aggiunge, nel caso degli apprendisti “somministrati“, un ulteriore aggravio dell’1,4 per cento. Poiché si paventa che le Apl possano finire per sottrarlo a quel 4% che già destinano alla formazione, meglio sarebbe stato che si fosse guardato subito a ricavare da qui il contributo aggiuntivo, rendendolo pure meno oneroso. Peraltro, fra le proposte di emendamento al ddl compare anche la riduzione del contributo di solidarietà dall’1,3% allo 0,20 per cento».
Secondo lei quali altre proposte di modifica al ddl dovrebbero trovare accoglimento?
«Potrebbe avere senso innalzare l’età massima da 29 anni a 32 specie se si tratta dell’apprendistato di alta formazione e ricerca: la durata media del corso di studi in Italia è superiore a quella europea e il laureato specialistico italiano prende il titolo a un’età prossima ai 28 anni. Anche le ipotesi di modifica riguardanti il prolungamento da 6 a 12 mesi del periodo di prova come pure l’estensione della durata del contratto da 3 a 4 anni potrebbero avere senso. Va anche considerato, però, che la revisione del diritto del lavoro e delle modalità di accesso all’impiego dovrebbe inquadrarsi in un contesto di interventi organici, anche in quanto a garanzie e tutele».
Cioè a dire?
«Sarebbe bene evitare di allargare troppo le maglie da un lato e imporre drastici giri di vite dall’altro. Si pensi alla forte stretta su contratti come i Co.co.pro e le partite Iva: si tratta di fasce di lavoratori che non potranno essere interessati dai contratti di apprendistato e che nella migliore delle ipotesi saranno gradualmente espulsi dal mercato del lavoro, nella peggiore vedranno l’interruzione immediata del rapporto con la controparte».
L’apprendistato si lega all’apprendimento e la riforma prevede di fissarne le norme con un apposito decreto da emanare entro sei mesi dall’approvazione del ddl...
«Fissare standard nazionali e procedure per certificare le competenze è un’ottima idea, anche perché oggi la validazione dei percorsi formativi degli apprendisti non è considerata dai datori di lavoro sufficiente ad attestarne la professionalità. Sarà bene che si dia immediato seguito al decreto, evitando di passare la mano alle Regioni o agli accordi collettivi».
Gli occupati più giovani, stando all’Istat, continuano a diminuire e in parallelo aumentano i contratti a tempo determinato e le collaborazioni: meglio, allora, rafforzare la somministrazione?
«L’auspicio è giungere all’eliminazione totale degli obblighi di causale, fonte di incertezza e di contenzioso, previsti per i lavoratori in somministrazione. Proprio perché tale contratto li vede garantiti sotto il profilo retributivo, assistenziale e previdenziale. In questo modo le Apl potrebbero davvero fungere da catalizzatore primario per il mercato del lavoro e la crescita.

Mi auguro anche che le nuove norme sull’apprendistato prevedano la possibilità di somministrarlo non soltanto a tempo indeterminato ma anche a termine, dato che al lavoratore non si toglie tutela alcuna: precarietà e somministrazione sono due pianeti diversi, e di precario in quest’ultima non c’è proprio nulla».

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