Caro Filippo Inzaghi, è tornato finalmente da Atene?
«Ho vissuto laggiù per tutta l’estate: è stato bello, emozionante, commovente per certi aspetti. Durante i 50 giorni di vacanza ho raccolto l’affetto dei milanisti e non solo ed è questo forse l’aspetto più esaltante della vicenda. Ho ricevuto complimenti anche da juventini, interisti, romanisti. Erano felici per me, conoscevano la mia sofferenza fisica».
Da quel che si è saputo c’è stato un solo incidente di percorso...
«Sì, mia madre s’è rotta un piede e ha dovuto ingessarlo. Ma per fortuna dalle fratture si guarisce. Per il resto è stata un’estasi completa, mi sono dedicato agli affetti, ho molto giocato a pallone con mio nipote Tommaso, il figlio di Simone».
A proposito: promette bene?
«Gioca in porta e in casa Inzaghi la vocazione può sembrare quasi una provocazione. Poi gli ho raccontato anch’io che da piccolo giocavo in quel ruolo e allora si è rassicurato».
Vogliamo spiegare per l’ultima volta il segreto di Atene?
«Il merito è tutto di un gruppo di uomini, prima che di atleti, molto speciale. Che marca la differenza rispetto ai concorrenti nei momenti difficili quando è naturale soccombere, saltare per aria. A noi non è successo e appena il vento ha preso a soffiare nella direzione giusta, abbiamo riguadagnato il mare. Perciò quella di Atene è stata considerata da tutti, società, allenatore, calciatori e tifosi, la vittoria più bella dell’era Berlusconi, che pure è piena di trionfi».
La formula dell’attaccante unico ha meriti nella vicenda?
«È stata utile, anzi utilissima ma poi torneremo a giocare con la formula delle due punte più Kakà che piace tanto al presidente».
Il secondo gol di Atene somiglia tanto a quello di Amburgo durante il mondiale: c’è qualche analogia?
«In Germania ho dribblato a sinistra, ad Atene sono andato a destra. Al mondiale ho avuto il tempo di pensare, in Champions è stato l’istinto a suggerirmi tutto».
Nel frattempo c’è una pericolosa fuga del gol dal campionato: è il caso di preoccuparsi?
«No. L’esperienza all’estero può risultare utile per far maturare i giovani che qui rischiano di restare chiusi».
È rimasto un piccolo Inzaghi in circolazione?
«Punto su Pazzini, avrà una stagione per dimostrare il suo valore. Poi tengo d’occhio Pozzi, dell’Empoli, e Cacia, del Piacenza».
Passiamo a Kakà: ha letto della tentazione Real?
«Ho letto quasi tutto sull’argomento e pur non avendo sentito direttamente Ricki, non ho mai pensato che potesse lasciare il Milan. Io l’ho capito con qualche anno d’anticipo: questo è il posto migliore per fare il nostro mestiere. A Madrid avrebbe fatto tre finali Champions in 5 anni?».
Shevchenko ha chiesto di tornare...
«E si può capire. Anche a me, qualche mese fa, hanno fatto proposte economiche dall’America molto interessanti. Non cambio per una questione di soldi. Ho risposto: no, grazie. Tutti, a cominciare da Galliani, sanno quel che ho fatto all’epoca per venire al Milan».
Il mercato del Milan è deludentissimo oltre che inesistente. Lei che ne pensa?
«Che dobbiamo partire da una premessa: siamo la squadra con la Champions tra le mani, sono gli altri a dover colmare la distanza. Eppoi sa cosa le dico? Da 20 anni questa società ha lavorato con risultati eccellenti. Io mi fido e penso che non ci sia bisogno di acquisti a tutti i costi, ma di rinforzi mirati. Se si chiamano Eto’o o Ronaldinho sono i benvenuti».
Scusi Inzaghi ma in attacco siete pochi, appena 3...
«Ronaldo gioca a tempo pieno questa volta. Spesso si giocherà con una sola punta. Infine la società è molto attenta agli equilibri dello spogliatoio. Mi sembrano tre buoni argomenti».
Arriverà Pato, cosa ne pensa?
«Ho visto poco in tv, ma ho sentito giudizi lusinghieri di Ancelotti e Leonardo. Ha 17 anni e mezzo: dovesse arrivare, bisognerebbe dargli tempo per crescere serenamente».
Gilardino ha pensato di lasciare Milanello: cosa gli è successo?
«Alberto è un ragazzo in gamba, ha fatto 40 gol in due anni, ha l’affetto di tutti. Gli ho detto di guardare a quello che mi è successo: due anni fa partivo per Anversa, sembravo un calciatore finito. Ho lottato e dimostrato il mio valore».
Non sarà che voi del Milan avete già abdicato per lo scudetto puntando sul Giappone?
«Il mondiale per club è in dicembre, lo scudetto si decide a marzo-aprile: c’è tutto il tempo per puntare all’uno e all’altro. Yokohama è l’unico traguardo che manca a questo gruppo nato a Manchester, nel 2003. E il fatto che ci sia il Boca Junior davanti è un altro segno del destino».
Totti ha lasciato l’azzurro: e lei?
«Mi è sempre piaciuto l’azzurro. Con Donadoni ho un rapporto schietto: lui sa che quando ha bisogno deve farmi un fischio».
Sarà un altro anno targato Inter?
«Sarà la solita battaglia. Con la partecipazione anche della Juve».
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