«Sarà come stare al Grande Fratello», mi avevano avvisata. E mi sono bastati pochi minuti per capirne il motivo. Indossi un caschetto, impugni un joystik, chiudi gli occhi e poi sei dentro. O fuori. Dipende tutto dal punto di vista, ma il senso non cambia, perché una volta entrato nella realtà virtuale ti senti subito parte del gioco, anche se di ludico, in questo caso c’è ben poco.
Alcolista per un giorno. O meglio, proprio come un alcolista, l’altro giorno mi sono sottoposta alla sessione di realtà virtuale che viene proposta ai milanesi che si rivolgono al Noa (Nucleo operativo alcologia) per risolvere i loro problemi con l’alcol. Finora 20 in tutto - «il gruppo di ricerca» - più altri 20 del gruppo di controllo. «L’obiettivo di questa sperimentazione, l’unica di questo genere in Italia, - mi spiegano - è agevolare il colloquio mettendo a proprio agio il paziente». E i primi risultati parlano chiaro: «La raccolta di informazioni - precisa la dottoressa Elena Gatti - è sicuramente più rapida e meno ansiogena di un colloquio normale». E ancora: «Rispetto al gruppo di controllo, questi pazienti risultano più motivati». Si comincia indossando il caschetto, dicevamo, e poi con l’aiuto della dottoressa Gatti si entra nel primo ambiente: un solarium con piscina che si affaccia sul mare. Giretto a bordo vasca, poi mi siedo su una sdraio, «questa prima fase serve proprio per familiarizzare con lo strumento. Il bello viene dopo». Eccomi in casa: cucina, camera da letto, salotto. Girovago tra le stanze quando mi imbatto nella prima bottiglia: vino rosso. «E qui di solito iniziano le domande - continua Gatti -. Non c’è uno schema preciso, è lo stesso paziente a darci gli spunti. Il bello della realtà virtuale è proprio questo: la flessibilità». Domande e risposte, ma la voce è fuori campo, perché nei quattro ambienti preparati dall’equipe sono sola, ma quella voce mi accompagna, tenendomi per mano. «Dopo la casa, passiamo al luogo di lavoro e infine al ristorante, con annessa zona bar: cerchiamo di farci raccontare la storia del loro bere, perché in base all’atteggiamento del paziente, al suo stato di salute e a tutte le informazioni raccolte decideremo il programma terapeutico pensato su misura per lui». «Questa sperimentazione - mi racconta la dottoressa Cinzia Sacchelli che ne è il responsabile scientifico - è nata grazie a un’idea del professor Giuseppe Riva dell’Università Cattolica». Lo psicologo aveva iniziato a studiare il modello statunitense già collaudato per i disturbi alimentari e la lotta alle fobie, prima di proporre all’Asl di sperimentarlo con gli alcolisti. Dall’alcol alla droga, «terminata la sperimentazione, potremo applicarlo anche con altre forme di dipendenza - aggiunge Riccardo Gatti, direttore del dipartimento Dipendenze dell’Asl - e in altre fasi del trattamento, ad esempio, per evitare la ricaduta dei pazienti». E quelli non mancano, visto che nel 2007 sono state 1.400 le persone che si sono rivolte in uno dei tre Noa milanesi.
Toccherà ai nuovi arrivati scegliere se partecipare o meno alla sperimentazione e, come me, immergersi in un mondo virtuale. Come in una sorta di Grande Fratello, dove ti spiano certo, ma tu non te ne accorgi nemmeno.
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