«Io, dentro la discarica con la polizia»

nostro inviato a Napoli
Scompare nella notte la barricata-simbolo della rotonda Titanic, smontata con zelo dagli stessi manifestanti: è la prova dell’apertura di credito che il fronte del «no» concede a Bertolaso, che aveva chiesto ai residenti dei siti designati per lo stoccaggio dei rifiuti di «fidarsi dello Stato».
L’invito, a quanto pare, è stato raccolto. Alle sei e un quarto del mattino c’è solo una striscia di polvere di calce che attraversa la via che porta dall’ingresso di Marano alla cava di Chiaiano, quella che dovrebbe ospitare una delle future discariche. Nonostante l’ora il sole già scotta, e illumina di luce liquida la polvere che si solleva dall’asfalto. Intorno ci sono più giornalisti, fotografi e telecamere che dimostranti. Un gruppetto di ragazzi celebra la tregua concedendosi una colazione a base di cornetti accanto all’edicola, già aperta. Si è svegliato presto Oreste Scalzone: mani sui fianchi, immancabile cappello in testa, sguardo perplesso, distribuisce pacche sulle spalle ai «compagni di lotta», lì dove fino a lunedì notte c’era la fila di cassonetti saldati tra loro.
La squadra di dodici tecnici dell’Arpac, attesa per i rilievi nel sito alle 7 in punto, però, alle 7 e un quarto ancora non si vede. Il passaggio per la cava è ancora ostacolato dai due alberi abbattuti su via Poggio Vallesana e dagli altri blocchi più su, sulla stessa strada. E anche sul corso che unisce Chiaiano a Marano, passando per il bivio di Mugnano, per la prima volta da giorni non c’è più la lunga fila di mezzi di polizia e carabinieri. «Lo Stato non entra dalla porta di servizio», aveva sentenziato il prefetto di Napoli, Alessandro Pansa, nella riunione di domenica che ha sancito la tregua. Ma una volta che l’entrata principale è aperta, un ingresso vale l’altro. E così ecco che, forse per ricambiare il gesto di buona volontà dei manifestanti, forse per non soffiare sulle braci di un fuoco appena spento, il team di esperti dell’agenzia per l’ambiente della regione Campania, scortato da carabinieri e poliziotti in borghese, non sfila in parata di fronte alla rotonda Titanic. Il camion con la trivella e gli altri mezzi di supporto che devono raccogliere i campioni e stabilire la sorte della cava scelgono una via più discreta, e scomoda, per metter piede nel sito della discordia. Salgono in fila indiana dai Camaldoli, si infilano per una via tortuosa e impervia dal nome quantomeno insolito di Casa Putana, arrivano al cancello verde del circolo di tiro a segno che al momento occupa la cava dove Bertolaso medita di sversare parte dell’immondizia sparsa per le strade della Campania. La strategia funziona: fila tutto liscio, non c’è nemmeno l’ombra di una contestazione.
Tra gli alberi di ciliegio, sul tratturo sterrato che porta al sito, comincia una curiosa processione di uomini e macchine. C’è il sindaco di Marano, Salvatore Perrotta, che fa nemmeno troppo segretamente il tifo per una falda appena sotto la superficie o per una crepa sulle immense pareti della cava. C’è il direttore dell’Arpac, Luciano Capobianchi, che gioca a fare l’arbitro e nicchia: «Non si saprà nulla prima di venti giorni, e i risultati li avrà solo Bertolaso». C’è il geologo «antidiscarica» Franco Ortolani, scelto come «perito di parte» dall’amministrazione di Marano che scarpina sotto il sole insieme a cronisti e tecnici con l’elmetto giallo in testa. C’è quasi l’aria della gita fuori porta, ma non tutti sorridono. Tra le corsie del poligono di tiro qualcuno si sente, suo malgrado, parte di un plotone di esecuzione, e qualcun altro si candida a condannato. E intanto, dietro a tutti, avanza sbuffando la motrice che porta giù la trivella. Dovrà prelevare campioni in profondità all’ingresso della vecchia miniera di tufo, e altri nell’area che, in caso di via libera, ospiterà i rifiuti.

Non dovrebbe tradire. Anche perché, alla fine delle danze, spetterà a lei la sentenza che deciderà se quella cominciata all’alba di ieri è solo una tregua momentanea. O se il fuoco intorno alla cava di Chiaiano è destinato a riaccendersi.

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