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«Ma io, imprenditrice, sono contraria»

Nicoletta Miroglio è una donna manager, di quelle con attributi. Prima di conquistare la stanza dei bottoni ha fatto gavetta dura («dal lavoro in magazzino alla centralinista»). Oggi si occupa delle linee commerciali della divisione tessuti dell’omonimo gruppo di famiglia. È una delle poche manager del tessile italiano.
Che pensa della legge norvegese?
«Stabilire per legge la presenza femminile nelle aziende non è corretto. Ognuno ha la propria realtà».
Qual è la vostra?
«Da questo punto di vista siamo messi male. Il nostro gruppo conta 6.500 dipendenti, le manager saranno 3 o 4».
Pochine, come mai?
«Le donne sarebbero importanti, soprattutto in un’azienda tessile come la nostra. Ma a parità di meriti vanno avanti sempre gli uomini».
Perché, secondo lei?
«Non è colpa di nessuno. È la società, la storia. Le donne non sono riconosciute se non in casi sporadici. Almeno in Piemonte. Forse va meglio in altre regioni, ma non credo. Sinceramente non ci faccio più caso».
Si dovrebbe reagire, invece.
«Prima mi arrabbiavo. Ho vissuto il ’68, facevo il liceo e temi come la parità erano all’ordine del giorno. Ora è un dato di fatto contro il quale non si può fare niente».
Se lei deve scegliere tra un uomo e una donna, che fa?
«Non faccio differenze. Ho trovato uomini stupidi e donne stupide in egual misura. Le donne che decidono di lavorare seriamente sono più sveglie».
Cos’è lavorare seriamente?
«Cercare di ottenere risultati piano piano e non mollare mai».
Una donna dovrebbe scegliere tra lavoro e famiglia?
«Assolutamente no. Anzi. Certo i sacrifici sono tanti ma chi ha famiglia lavora meglio. E ormai anche gli uomini aiutano in casa».
Come vede in Italia una legge come quella norvegese?
«Malissimo, gli italiani non sono preparati.

Forse fra cento anni».

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