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«Io, l’Obama della Formula 1»

La voglio sempre con me: è il valore più importante

«Io, l’Obama della Formula 1»

nostro inviato a Monza

Lewis Hamilton è un ragazzo con troppo talento piombato in F1 troppo giovane e fin dall’inizio troppo criticato. Colpa della spy story 2007, colpa di certe bugie all’inizio di quest’anno, colpa, soprattutto, del suo essere stato, fin dall’esordio, incredibilmente veloce. Per cui ha fatto presto a circondarsi di nemici. Eppure è un uomo di valori, un ragazzo di famiglia, un figlio che in molti vorrebbero avere e non per il conto in banca. Parla del padre, del fratello disabile, parla di Mandela e dei bambini bisognosi. Massì, parla anche di formula uno.
Scusi, Lewis, negli ultimi mesi sembra diventato un’altra persona: non più il ragazzino velocissimo, bensì un uomo che si è caricato sulle spalle il futuro del team.
«Essere campione del mondo significa anche questo. E poi m’importa dare tutto per la squadra, m’importa spingere, motivare».
Nella sua carriera è sempre arrivato a Monza con la consapevolezza di essere in lotta per il mondiale. Ora come trova le motivazioni?
«Il fatto è che amo correre, amo star dentro la mia monoposto, amo totalmente il confronto con gli altri. Di più: amo essere competitivo in tutto ciò che faccio. Quest’anno non ho e non abbiamo l’auto per vincere il titolo, per cui conta dare il massimo delle mie energie per la squadra».
Primo pensiero?
«Vincere qui a Monza, la macchina è in crescita, perché non dovrei farcela?».
Secondo pensiero?
«Ritornare campione del mondo. Amo troppo avere quel numero uno sulla mia McLaren».
Manca l’ufficialità, ma il suo ex compagno Alonso, il prossimo anno, sarà un pilota Ferrari.
«Lottare con un pilota come Fernando, per di più per il mondiale, regala sempre un gran piacere. Penso che già nel 2010 saremo lì a giocarcela… Anzi, penso che ce la giocheremo per i prossimi dieci anni…».
Non andiamo troppo in là, andiamo indietro: fine 2008, un mondo come la F1, dominato e governato dai bianchi, viene conquistato da un pilota di colore. Fine 2008: gli Stati Uniti rompono con il passato ed eleggono Barack Obama.
«Sì, che incredibile coincidenza temporale. Sono estremamente fiero di quello che sono riuscito a fare. Lo sono specialmente quando penso agli sforzi fatti dalla mia famiglia, alle difficoltà incontrate per arrivare fin qui… e mi riferisco anche a quando ero nelle categorie minori. Tanto più che il passo finale, quello per arrivare in F1 non è stato certamente semplice. Per cui è meraviglioso che due eventi così significativi siano avvenuti praticamente a distanza di pochi giorni».
La F1?
«Semplicemente, mi ha cambiato la vita. E non parlo solo della fama, dei soldi. Le corse a questo livello mi hanno insegnato a vincere e a perdere. Sono amico di Nelson Mandela: lui mi ha detto che non si smette mai d’imparare… e penso che ha novant’anni, io ne ho solo 23, e ho davanti 67 anni per continuare ad apprendere…».
A proposito di Mandela: a fine carriera pensa di contribuire alla lotta per i diritti della sua gente?
«Non penso che ci sia ancora molto da lottare in questo senso… è stato fatto molto. Piuttosto, m’impegnerò per i diritti dei bambini, dei ragazzini. Li aiuterò perché possano crescere e coltivare le loro passioni. Vorrei che ogni ragazzino che sogna di arrivare in F1, possa provarci; e così negli altri sport».
Lei vince ogni tanto, suo fratello Nicolas (disabile dalla nascita, ndr) vince ogni giorno le sue sfide.
«Sì, è proprio così».
Che cosa significa per lei?
«Molto, moltissimo. Per me è un esempio enorme, un motivo per non mollare nei momenti difficili. Mi capitava da ragazzino, quando le cose non andavano bene, quando magari perdevo delle gare, di guardare o pensare a lui, di vedere il suo sorriso, di sentirlo motivarmi sempre. Questo è uno degli insegnamenti più importanti della mia vita: capire sempre, anche quando tutto va storto, quanto in fondo sono fortunato. È una cosa che spesso la gente dimentica. Io non la dimentico mai».
In Italia la gente ama la Ferrari. Ma in Italia si ama molto anche la famiglia: paese di mammoni si dice. Anche lei sembra un po’ così con suo padre sempre al seguito.
«La famiglia è un valore importante. Mio padre, ad esempio: ha visto ogni singola gara che ho fatto, dagli otto anni ad oggi. E mio fratello quasi tutte. Io desidero averli accanto. Sempre.

La nostra unione è la conquista più importante della mia vita».

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