nostro inviato a Venezia
Era notte, a Napoli. «Mancava un quarto a mezzanotte», ricorda molto bene Mattew Thomas Godfrey. E ci voleva un'anima candida come la sua, come quella di questo americanone di 25 anni nato a Provo, sulle montagne dello Utah, là dove i mormoni come lui hanno più facilità a parlare con Dio, per fare quello che ha fatto lui. Perché a quell'ora, in quel vicolo di Napoli, ci voleva una sconfinata fiducia nel prossimo - o una buona dose di giovanile incoscienza - per restarsene lì a fotografare una chiesa con una macchina digitale nuova di zecca. «Mi piace fotografare di notte, c'è una luce speciale», spiega con un sorriso.
Ma per lui, quella sera, le cose sono andate a finire male. Molto male. Rapinato e picchiato non solo dai ladri, ma anche da un gruppo di «bravi cittadini», forse amici o parenti dei criminali. Ricordate? I giornali e le tv di tutta Italia ne hanno parlato: era l'8 agosto e Mattew, capelli e barba biondi e lunghi, alla nazarena, era arrivato nel pomeriggio con il treno da Roma, ennesima tappa di un girovagare di tre mesi per tutta Europa: il regalo per la sua laurea. Napoli mancava nel suo ricco carnet di globe trotter e l'idea di poterla visitare lo eccitava. Tanto da rinviare il check in nell'ostello di Mergellina e affrontare subito il «ventre» di Napoli.
«Mi ero detto che la foto alla chiesa di San Severo sarebbe stata l'ultima», ricostruisce Mattew nel suo eccellente italiano mentre si gode Venezia da un motoscafo che sfreccia sulla Laguna. Qui, è in un tour di tre giorni negli angoli più belli del Veneto, lo hanno invitato i soci dell'associazione Giovani della Casa di Montebelluna «per cercare di riparare almeno in parte al male che gli hanno fatto - spiega il presidente Alessio De Mitri - e per dimostrargli che esiste anche un'Italia dove la solidarietà sociale non è una parola vuota».
La parola che ricorre però più spesso nel racconto di Mattew è «arrabbiato». La ripete di continuo perché a fargli male, dentro, più del furto e delle botte, è l'aver visto l'indifferenza della gente. «Lo rivedo benissimo quell'uomo che mi ha fissato per un attimo e che è rimasto lì immobile, senza dire una parola. Lui sapeva che cosa stava per succedere...» E infatti è successo. «Un lampo, e uno scooter con due ragazzi a bordo mi è passato vicinissimo. Il tempo di girare la testa e mi sono visto strappare la macchina dalle mani». La sua reazione è immediata: via all'inseguimento dello scooter, gridando «Aiuto! Polizia!».
«Non so quanto tempo ho corso, ero confuso, ma forse un buon minuto. Mi mancava il fiato, ma li avevo visti infilarsi in un vicolo. E lì li ho trovati, accanto al motorino, mentre esibivano la preda a tre amici».
Nessuno aveva informato Mattew sui pericoli di Napoli. «Io mi ci sono scagliato contro, tentando di riprendere la macchina. Quello che ce l'aveva è scappato, ma io avevo afferrato il complice e lo tenevo stretto tra le braccia continuando a gridare, a chiedere aiuto». E l'aiuto è arrivato. Ma per i ladri. «Dalle abitazioni vicine sono comparse in un attimo una quindicina di persone, molte con caschi da moto e una armata di bastone. Cercavano di colpirmi ma io mi difendevo usando quello che tenevo stretto come scudo. Fino a che...». Fino a che gli è arrivato un pugno sull'occhio destro. «Ricordo di aver mollato la presa e di essermi trovato solo, in quel vicolo. Rapinato, picchiato e... non arrabbiato, come dite voi? Disperato? Perché un uomo contro due lo posso anche capire, ma quindici no».
Chiederglielo, a questo punto è d'obbligo: tornerà a Napoli dove il sindaco Rosa Russo Jervolino lo ha invitato - crepi l'avarizia! - a mangiare insieme una pizza? «Solo se trattato come mi stanno trattando ora qui in Veneto - risponde lui (sì, sorride, ma è ancora arrabbiato) - Ma soprattutto accompagnato. Da solo no, mai più». E questa si chiama paura.
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