Milano - No, pare proprio che non sia vero che alla clinica Santa Rita - quando si accorsero di quel che accadeva nel reparto di chirurgia toracica - abbiano fatto terra bruciata intorno al primario Pierpaolo Brega Massone e alla sua cricca. La versione che viene fatta circolare in queste ore dai vertici della clinica - tesa a ridimensionare l’operato di Brega, a ridurlo al rango di scheggia impazzita - viene smentita platealmente da un piccolo, decisivo dettaglio. A riferirlo al Giornale è una delle decine di vittime di Brega. Si chiama Alfredo Scordo e racconta che quando vi furono le prime avvisaglie del caso, la direzione della casa di cura contattò uno per uno i pazienti di Brega. Per chiedere loro scusa, per offrire risarcimenti? Niente affatto. Chiedeva che firmassero una petizione in difesa del reparto. Che prendessero posizione pubblica in difesa del medico che li aveva devastati senza motivo.
«Io sono vecchio - dice Scordo - però cerco ancora di ragionare con la mia testa. E mi chiedo: è giusto proibire le intercettazioni, come leggo sui giornali in questi giorni? Se non ci fossero state le intercettazioni, questi signori sarebbero ancora tutti al loro posto, a farsi i comodi loro». Tossisce. Prende fiato. Tossisce di nuovo. «Ecco, da quando mi hanno operato alla Santa Rita è sempre così. Prima non mi ammalavo mai. Adesso mi ammalo sempre. È come se mi avessero rotto qualcosa dentro».
Qualcosa dentro gliel’hanno rotto per davvero. Un polmone, il sinistro. Gliene hanno portato via un pezzo, senza motivo alcuno. Scordo aveva una polmonite che stava guarendo, e alla Santa Rita lo sapevano bene perché le lastre avevano raccontato tutto. Ma lo hanno operato ugualmente e gli hanno affettato un polmone. Il suo è uno dei casi che hanno indignato maggiormente i periti: «C’è da rimanere allibiti di fronte ad un comportamento del genere, manca totalmente il rispetto per il malato e per la vita altrui», scrivono.
Lui, Scordo, 76 anni, calabrese di Gioia Tauro, non riesce a prenderla con filosofia. Seduto al suo tavolo, nella carrozzeria agli inizi di viale Padova, racconta, e si vede la rabbia che gli monta dentro. «Avevo una polmonite, mi hanno ricoverato in Santa Rita, poi mi hanno dimesso dicendomi: le faremo sapere. Dopo un po’ di giorni Brega mi ha chiamato e mi ha detto che mi doveva operare. Non mi ha spiegato niente, stava sul vago, mi ha detto che nel mio polmone c’era una macchiolina. Mi ha fatto firmare una carta e mi ha portato in sala operatoria. All’uscita mi ha detto: tutto bene, abbiamo tolto la macchia».
Invece la «macchia» non c’era. «Da quel giorno ho iniziato a stare male, ad ammalarmi a ripetizione, mentre prima dell’operazione avevo una salute di ferro. E sa qual è la cosa più incredibile? Che in gennaio mi telefonano dalla Santa Rita, io credevo che mi cercassero per un controllo, invece mi fanno: dovrebbe venire qui in via Jommelli a firmare una petizione contro la chiusura del reparto di chirurgia toracica». C’è andato? «Neanche per sogno. Ormai sentivo puzza di bruciato. E infatti due mesi dopo mi chiama la Guardia di finanza e mi racconta quello che hanno scoperto.
Quel giorno, per la prima volta, ho saputo esattamente cosa mi avevano fatto durante l’operazione. Ma come è possibile, mi dico. Io mi ero fidato di loro, avevo messo la mia vita nelle loro mani».Adesso Brega è a San Vittore. Se lo incontrasse per strada cosa gli direbbe? «Gli direi che è un assassino».
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