Prima che decidessero di togliermela, ero sotto scorta da quattro anni e mezzo. Il che vuol dire che in questo periodo di tempo non sono mai potuto uscire da solo con mia moglie, accompagnare i bambini a scuola da solo come tutti i papà, uscire senza averlo programmato per comprare un giornale o andare a trovare un amico o per fare qualsiasi cosa che non possa essere programmata con anticipo.
Vivere sotto scorta è un primo livello di arresti domiciliari: si rinuncia alla privacy e in compenso la tua famiglia diventa anche quella della tua scorta, di cui conosce tutti i caratteri umani i casi personali, e insomma si vive insieme con dei deliziosi sconosciuti che hanno sempre un’arma a portata di mano e con cui si diventa più che amici.
Vivere sotto scorta non è come avere l’auto blu. Non è un privilegio ma la certificazione che gli uffici che si occupano della sicurezza dopo l’assassinio di Marco Biagi hanno considerato la tua vita in pericolo. Ma la mia vita è in pericolo? Io questo non lo so ma se devo giudicare il fatto che dopo due anni di scorta la mia protezione fu aumentata al livello di quella del mio amico Ben Hur, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, devo dedurre che qualcosa di concreto ci doveva essere. D’altra parte chi conosce la storia di Alexander Litvinenko conosce anche il gruppo di e-mail che, nel giorno del suo omicidio, gli vennero fatte leggere al sushi bar di Piccadilly Circus in cui erano descritte dal signor Eugeni Limarev le circostanze dettagliate e le modalità che prevedevano fra l’altro il suo e il mio omicidio.
Oggi è di moda far finta che la Commissione Mitrokhin non sia esistita o che consistesse in qualcosa di losco, mentre invece posso e voglio affermare con orgoglio che il lavoro di quella Commissione è stato uno degli episodi più drammatici e più autentici della storia d’Italia degli ultimi venti anni. Io ho l’impressione che il motivo per cui quasi da un giorno all’altro mi è stata tolta la protezione armata, che mi aveva accompagnato per quasi duemila giorni, sia il motivo di sciatteria burocratica e di disordine politico e amministrativo. Non voglio prendere in considerazione che coloro i quali si sono assunti una tale enorme responsabilità abbiano voluto dare anche un segnale ai moltissimi cui farebbe molto comodo - e all’ancor più numeroso gruppo di coloro ai quali farebbe semplicemente molto piacere - che io fossi fatto fuori. Trovo poi un ignobile atto di scorrettezza istituzionale e di villaneria contro il Parlamento della Repubblica, che il prefetto di Roma abbia ritenuto di informarmi della cessazione della mia protezione armata nel corso del mese di agosto e senza contattarmi personalmente, come penso avrebbe pure dovuto fare il ministro degli Interni, che delle azioni del prefetto è responsabile, al quale chiederò immediatamente conto con una interrogazione urgente dei dettagliati e ben meditati motivi, completi della certificazione delle indagini svolte, che hanno condotto alla decisione di fare di me un bersaglio inerme.
Sto considerando seriamente, avendo tre bambini di 7, 5 e 2 anni di lasciare questo assurdo Paese che si chiama Italia per il quale è praticamente inutile compiere alcun sacrificio e correre rischi. Lo stato delle cose è questo: fra breve pubblicherò un ampio studio e relazione personale degli eventi degli ultimi dieci anni alla luce di ciò che il Kgb e i suoi agenti italiani hanno fatto e seguitano a fare al mio e ad altri Paesi. Sono convinto che il mio libro non sarà letto da molti ma sarà utile a coloro che hanno ancora a cuore le sorti di questa patria equivoca e sovente sciagurata. Non faccio la vittima e spero che mai nessuno debba piangere per la decisione che è stata presa. Ma con la stessa chiarezza devo dire che ognuno deve prendersi le sue responsabilità e che il governo in carica, a cominciare dal suo ministro degli Interni, ma non solo, ha il dovere di valutare le conseguenze dei propri atti e giustificare in maniera completa e convincente il significato di azioni che allo stato attuale hanno un’immagine torbida e minacciosa.
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