"Io sono l’antidoto alla De Filippi"

SuperPippo va alla guerra del sabato con la sua «Serata d’onore» e spara a zero contro la rivale: "C’è posta è uno show angosciante, noi ne facciamo uno più elegante"

RomaIl classico non muore mai. E dunque si suppone che Pippo Baudo godrà (televisivamente parlando) dell’immortalità catodica. Non molla e non retrocede davanti alla volgarità, alla strumentalizzazione, al trash tracimante, il Pippo di sempre. E per il suo ritorno al sabato sera di Raiuno recupera il titolo d’un passato successo, rinnovandolo nei contenuti ma rispettandone lo stile formale. Così il nuovo Serata d’onore proporrà cinque show dedicati al made in Italy: il meglio dell’eccellenza italiana in tutti i campi - moda, cinema, teatro, lirica e grandi eventi del 2008 - sviluppato attraverso esibizioni, interviste, e aneddoti offerti da grandi ospiti. E affiancando loro dei nuovi talenti in ciascuno di questi campi (attori, stilisti, cantanti eccetera) per metterli in gara fra loro.

Sarà un sabato sera molto classico?
«Né tradizionale né classico. Eterno. Un bello spettacolo non ha epoca. Così, senza spendere cifre folli, e coll’intento di riavvicinare i telespettatori con simpatia ed affetto al genere, abbiamo cercato di costruire un varietà elegante, pulito, senza litigi, senza lacrime, senza dibattiti. Il bel varietà di sempre».

Ma il varietà non era morto?
«Una funebre constatazione che sento ripetere da quando ho cominciato questo mestiere, nel 1959. La verità è che tutti fanno varietà: a cominciare da Unomattina (ospiti, canzoni, intrattenimento) per proseguire poi in tutti gli orari del palinsesto. Certo: al sabato ci vuole qualcosa di più: spettacolo, eleganza, glamour. Almeno il sabato sera cerchiamo di viverlo senza angoscia! Infilandoci magari anche un po’ di cultura. L’esperienza a Domenica in, con la gara di poesie, è indicativa: la gente partecipa, e gli ascolti non calano».

A proposito di angoscia: recentemente il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri ha osservato che tanta tv produce angoscia piuttosto che esortare all’ottimismo, come ci vorrebbe in tempi di crisi come questi.

«E allora chiuda il programma della De Filippi. C’è cosa più angosciante di C’è posta per te? Ce l’hanno in casa: lo chiudano. Certo: produrre ottimismo non è semplice. Gli italiani non è che puoi mandarli a letto contenti solo con quattro canti e quattro balli. Il varietà non può essere una spugna che cancella problemi che - in realtà - non si possono cancellare così facilmente».

Lei con la «corazzata» De Filippi dovrà vedersela direttamente. E quasi nessuno, finora, è riuscito a batterla. Chi glielo fa fare?
«Il direttore Del Noce dice di me che “se i gatti hanno sette vite, Pippo ne ha quattordici”, e quindi ogni volta che c’è una missione impossibile mandano avanti me. In realtà, al contrario di tanti miei colleghi, che con una evidente forma di vigliaccheria scelgono delle collocazioni notturne, io scelgo la prima serata perché le sfide mi stimolano. E poi chi sarà mai ’sta De Filippi? Ma possibile che tutta l’Italia debba fermarsi davanti a ’sta corazzata? Guardate che la Corazzata Potëmkin è finita male. Le corazzate si possono anche affondare. E io sono il suo antidoto».

Ci va giù duro...
«La De Filippi propone un programma, io un altro. Sarà il pubblico a decidere. Noto che C’è posta per te doveva chiudere prima; e invece l’hanno allungato di due puntate per contrastarci meglio. Io non farò piangere, ma non farò nemmeno eccessivo ottimismo in un periodo come questo. Il programma non deve essere pacchiano ma di classe».

La figlia di Enzo Tortora ha indicato lei come conduttore ideale di un possibile ritorno di «Portobello».
«Questo mi fa molto piacere. Ma di Portobello è già stato rifatto tutto: tutte le sue rubriche sono diventate trasmissioni in se stesse. A loro volta copiate da altre trasmissioni. Ricordate quando si tentò di resuscitare Lascia o raddoppia?. Un insuccesso che ha fatto epoca. Pensiamo piuttosto a progetti che abbiano un sapore di nuovo. Repetita stufant!».

Che impressione le fa l’esplosione della «tv vintage»?
«In buona parte ne sono responsabile proprio io, perché con Novecento attinsi per primo alle teche Rai. Un magazzino fondamentale per la storia del nostro Paese. Ma ora si abusa. Fare tanto vintage significa non avere idee nuove: quando sei proprio disperato, metti un bel filmato di Totò, e ti salvi sicuro. Poi bisogna tenere conto che così facendo molti s’indirizzano ad un pubblico anziano: quello che ricorda più volentieri. Ma così invecchi il bacino d’utenza».



Ma come si spiega tanta nostalgia del passato?
«Con la paura del presente. Che è minaccioso, che terrorizza. E allora meglio rifugiarsi nei ricordi del bel tempo che fu. Anche se non è affatto vero che tutto quel che è passato sia automaticamente da rimpiangere. Anzi!».

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