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Io, sopravvissuta all’aviaria, non alla bilancia

Il Comune ha speso 30mila euro per mezzi sofisticati che hanno diagnosticato lo stress degli alberi

Paola Balsomini

Il primo starnuto arriva a notte inoltrata. Ho appena terminato una cena a base di uova, polli, galline e un delizioso brodo di cappone. «Qualche acciacco» penso immediatamente. Fino a quando ieri mattina non ho incontrato in redazione l’altro compagno di avventura, il caporedattore Massimiliano Lussana. «Ho mal di gola» mi dice tra il serio e il faceto. Allora, anche per tranquillizzare i colleghi che iniziano a lanciare sguardi preoccupati, provo a spiegare che al nostro tavolo c’erano almeno due commensali falcidiati dall’influenza. Non l’aviaria, ma quella classica, fazzoletto in una mano e aspirina nell’altra. Perché in fondo questa storia di uova e polli che non si accomodano più sulle tavole dei liguri assomiglia tanto ad una psicosi mediatica. Questo hanno provato a spigare «Slow Food» e «Il volano» nell’incontro «Influenza aviaria, un problema vero?». Intorno ad un tavolo si sono seduti membri delle istituzioni (presente il sindaco di Morozzo, in provincia di Cuneo), veterinari e commercianti, che hanno provato a dare un nuovo volto all’aviaria: «Tanto per cominciare - ha spiegato Oreste Massimino, veterinario - si parla di virus dei polli. Il problema però è che l’H5n1 colpisce per primi tacchini e galline e per ultimi soltanto i polli. La malattia poi è nota fin dal 1800, negli anni ’70 in America sono stati sterminati milioni di tacchini, nel 2001 in Veneto e Lombardia sono morti 20 milioni di polli e nessuno lo ha mai saputo. Il contagio con l’uomo è avvenuto in paesi dove i volatili convivono con la popolazione».
E con questa premessa è iniziato il nostro viaggio tra i piatti succulenti preparati dal cuoco Fulvio Gardella, dal figlio Marco e dal cognato Gianfranco Isola. Dopo un carpaccio di gallina con carciofi freschi e aceto balsamico si è passati al cappone di Morozzo, per arrivare ai raviolini di vitello in brodo di cappone. Nessuno starnuto, ma solo una gioia per il palato. La cena è proseguita con un galletto in fricassea con pinoli e maggiorana e si è conclusa con la «finanziera», tipico piatto piemontese composto di cresta di gallo e frattaglie, particolarmente apprezzato da Lussana. Già stremati e accaldati, non per l’influenza ma per il delizioso vino, è arrivato il dessert (semifreddo alle nocciole) condito con una crema al passito. Intanto si snocciolano i primi dati: a Genova i pollivendoli hanno diminuito il loro lavoro del 40 per cento. «E poi - racconta Marco Pittaluga, commerciante - la gente non mangia il pollo intero, ma continua a comprare gli spiedini».

Mauro Valsecchi, vicepresidente del Cna di Genova (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della piccola impresa) con Michele Zunino, commerciante e produttore delle uova biologiche puntano il dito sulla qualità: «È importante leggere le etichette - spiegano - e oltre a questo ci vuole una qualifica dei prodotti di alta qualità».
La cena termina con uno starnuto. Ma non si può sempre incolpare un povero pennuto.

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